Ginecologia

Apparato Genitale Femminile

L’apparato genitale femminile comprende la vulva, la vagina, la cervice (o collo dell’utero), l’utero, le tube di Falloppio e le ovaie.
La vulva è costituita da pliche carnose che circondano l’ingresso della vagina.
La vagina è un canale di tessuto muscolare situato tra vulva e il collo dell’utero.
La cervice (o collo dell’utero) è un organo ‘a forma di botte’ situato al vondo della vagina.
L’utero parte dalla cervice ed è localizzato nella regione pelvica.
E’ l’organo al cui interno si sviluppa l’embrione.
L’endometrio è lo strato più interno dell’utero.
E’ un rivestimento che si ispessisce progressivamente nel corso del ciclo mestruale per prepararsi a ricevere l’ovocita fecondato.
Se la fecondazione non avviene, lo strato superficiale dell’endometrio si sfalda e viene espulso durante il flusso mestruale.
Le tube di Falloppio collegano l’utero alle ovaie. Quando un ovocita viene rilasciato dall’ovaio, passa all’interno della tuba di Falloppio, dove è fecondato; successivamente migra nell’utero.
Le ovaie sono localizzate alle estremità delle tube di Falloppio.
Ogni mese un ovocita viene prodotto da un solo ovaio e si sviluppa all’interno di una piccola cavità piena di liquido detta follicolo.
Nel 75% delle donne l’utero si appoggia in avanti verso l’osso pubico e si dice antiverso.
Nel restante 25%, invece, si posiziona all’indietro ed è detto retroverso.
Alcune patologie, come l’endometriosi, possono determinare un cambiamento di posizione dell’utero da antiverso a retroverso, provocando dolore pelvico.
Molto raramente può essere necessario un intervento chirurgico di correzione.

Infezioni Vaginali

Cosa sono?
Nell’ambiente vaginale, analogalmente a quanto si verifica nel cavo orale e nell’intestino, convivono numerosi microorganismi che costituiscono la cosìdetta “flora vaginale”.
La composizione di quest’ultima va incontro a modificazioni qualitative e quantitative che sono in rapporto all’età, allo stato ormonale, all’attività sessuale ed alle condizioni generali di salute della donna.
Il pH vaginale (3,5-4,5) rappresenta un fattore di primaria importanza nel mantenimento dell’ecosistema entro i limiti della normalità in quanto esso inibisce la crescita dei batteri anaerobi e favorisce l’adesione dei lattobacilli (bacillo di Doderlein) all’epitelio vaginale.
In età prepubere il pH vaginale è maggiormente alcalino rispetto all’età adulta, l’epitelio della mucosa è di tipo colonnare e le ghiandole sono assenti: in questa fase della vita la normale flora batterica vaginale è principalmente costituita da cocchi Gram-positivi e da anaerobi Gram-negativi.
Al contrario, in età adulta il pH vaginale è più acido, l’epitelio della mucosa è di tipo squamoso stratificato e sono presenti alcune ghiandole: in questo caso nell’ambiente vaginale prevalgono i lattobacilli.
Quest’ultimi sono destinati a ridursi progressivamente in menopausa quando, a causa della carenza estrogenica, la mucosa va in contro ad un processo di atrofia con diminuzione del glicogeno necessario per il loro metabolismo.

Quali sono i sintomi?
I sintomi genito-urinari in genere sono rappresentati da perdite vaginali maleodoranti, prurito vulvo-vaginale, spotting ematico, dolore pelvico e talora dispareunia (dolore nell’avere rapporti).

Quali sono le cause?
L’elevata frequenza delle infezioni vaginali, massima intorno ai 30 anni, è sostanzialmente legata a due fattori fondamentali: la scarsa igiene personale del partner e la conformazione anatomica del tratto vulvo-anale.
A ciò si sommano fattori concomitanti, quali ad esempio la variazione del ph vaginale.
Fisiologicamente esso à mantenuto acido dalla flora lattobacillare.
Piccole variazioni del ph causate da farmaci o da modificazioni metaboliche alterano l’ecosistema vaginale e favoriscono l’attecchimento e la crescita di forme patogene o lo sviluppo abnorme di forme saprofite.
Altre cofattori importanti sono il grado di ossigenazione e di umidità a livello vaginale , legati alla situazione ormanale della donna, il contin uo contatto con fibre sintetiche, l’uso non corretto di detergenti intimi troppo aggressivi e, non ultimo, l’abuso di spray intimi deodoranti.

Le vaginiti sono date dai soliti germi?
NO, gli agenti eziologici più spesso responsabili delle in fezioni vaginali sono:
Trichomonas vaginalis
Candida species
Gardnerella vaginalis
Il Trichomonas è un protozoo flagellato che si sviluppa in vagina quando il pH del microambiente si innalza.
La trichomoniasi, a seconda del suo decorso clinico, può essere distinta in: asintomatica, acuta e cronica.
La forma asintomatica è presente nel 15/20% dei casi e la sintomatologia è rappresentata da perdite vaginali maleodoranti di colorito giallo-verdastro che sovente si accompagnano ad intenso prurito vulvare, e bruciori uretrali e a dispareunia (dolore nei rapporti).
La Candida albicans è un micete che anche in condizioni fisiologiche è presente nell’ecosistema vaginale, inibita nella sua capacità di invadere i tessuti dall’acidità dell’ambiente.
La vaginite da Candida è un infezione estremamente comune, caratterizzata da intenso prurito e da perdite biancastre di aspetto caseoso, non maleodoranti. Si tratta di un’ affezione frequente nelle pazienti diabetiche, nelle gravide, nelle donne che assumono contraccettivi orali, antibiotici o corticosteroidi.

Come si trasmette la vaginite?
La trasmissione della vaginite da Trichomonas avviene nel 90% dei casi per contagio sessuale, anche se sono state descritte altre vie di diffusioni ( asciugamani, servizi igienici).
La diagnosi di infezione da trichomonas è conseguente all’osservazione microscopica del protozoo nel secreto vaginale.
Nel caso di vaginite da Candida albicans la trasmissione avviene nella magggior parte dei casi per via sessuale, tuttavia è opportuno ricordare che le reinfezioni possono avere come serbatoio di partenza l’intestino.
La diagnosi di candidasi si basa sull’identificazione delle ife e delle spore nell’essudato vaginale.

Come si curano le vaginiti?
Nella vaginite da Trichomonas la terapia consiste nella somministrazione orale di Metronidazolo; anche il partner sessuale deve essere trattato con le medesime modalità.
Nella vaginite da Candida il trattamento si avvale dell’impiego di antimicotici per uso locale e/o generale; circa il 15% dei partner di donne con vaginite da candida presente una balanite sintomaticache deve essere curata per evitare le reinfezioni delle pazienti.
Nonostante le terapie appropriate ed efficaci nell’eradicare le infezioni da Candida, esiste un 5% delle donne, con normale profilo ormonale, in cui la vaginite diventa ricorrente nonostante posseggano anticorpi Candida-specifici.
In questi casi è stato dimostrato che le recidive sono espressione di un difetto dell’immunità cellulo-mediata specifica per la Candida.
Quindi per prevenire le vaginiti recidivanti da Candida è consigliabile associare alla terapia antimicotica anche un trattamento topico con Ibuprofene. Questa associazione riduce più rapidamente i sintomi e i segni flogistici tipici di tale patologia ( prurito, bruciore, leucorrea, arrossamento delle mucose).

Mi è stata diagnosticata una vaginosi batterica cos’è?
Il termine “ vaginosi” indica un infezione genitale in assenza di risposta infiammatoria caratteristica, è una patologia molto diffusa (35-60% delle donne che accusano una sintomagtologia genito urinaria).
Queste infezioni si manifestano con maggiore frequenza nelle donne sessualmente attive (20-30% dei casi) e nelle gravide (fino al 30% delle gestanti nel corso del 2°-3° mese di gravidanza).
Dal punto di vista eziopatogenico la vaginosi batterica è caratterizzata da una eccessiva crescita di germi quali la Gardnerella vaginalis, il MYcoplasma hominis e di numerose specie di anerobi (Mobiluncus, Peptostreptococcus, Bacterioldes, Eubacterium) a scapito della componente lattobacillare.

Quali sono i sintomi di una Vaginosi batterica?
Dal punto di vista clinico le pazienti lamentano solo la presenza di perdite vaginali biancastre schiumose dal caratteristico “ odore di pesce” che diventa ancor più avvertibile se a queste secrezioni viene aggiunta una goccia di KOH al 10% L’esame colposcopico permette di apprezzare un abbondante secrezione omogenea biancastra e schiumosa che si raccoglie nel fornice vaginale posteriore.
La vaginosi batterica può determinare complicanze ginecologiche (cervicite purulenta, endometrite, malattia infiammatoria pelvica, sterilità) ed ostetriche ( aborti spontanei, infezioni amniocoriali, parti pretermine, feti di basso peso alla nascita, endometrite post partum).

Come si prende la Vaginosi batterica?
Il motivo di questo disequilibrio della flora vaginale non è noto: alcuni autori ritengono possa essere la conseguenza di un uso eccessivo ed improprio delle lavande vaginali, altri che possa trattarsi di una malattia sessualmente trasmessa.

Come si cura la Vaginosi batterica?
Per quanto riguarda il trattamento della Vaginosi batterica, si raccomanda l’impego della terapia antibiotica solo nelle donne gravide, nelle pazienti sintomatiche ed in quelle che devono essere sottoposte ad intervento chirurgico.
Negli altri casi l’uso degli antibiotici potrebbe peggiorare il già alterato equilibrio ecologico, mentre è più utile far ricorso a prodotti che ripristinino la flora saprofitica.
Un buon trisultato può essere raggiunto anche con i farmaci antinfiammatori come l’Ibuprofene-isobutanolammonio che riduce l’adesività (-50% circa) della Gardnerella vaginalis alle cellule della mucosa vaginale che risultano meno colonizzate da questo batterio.
Tratto da Informed- Edizioni Sripta Manent

Dolore Pelvico

Quali possono essere le cause?

Malattia Infiammatoria Pelvica o PID

Di che cosa si tratta?
La malattia infiammatoria pelvica o PID (pelvic inflammatory disease) è un termine molto vasto utilizzato in riferimento ad un infezione dell’utero, delle tube di Falloppio o delle ovaie. E’ una malattia comune ma severa, circa 1 milione di donne vengono trattate ogni anno per PID negli Stati Uniti.

Quali sono le cause?
La malattia infiammatoria pelvica spesso riguarda donne sessualmente attive durante gli anni riproduttivi; si pensa che la maggior parte di casi di PID sia generata da malattie sessualmente trasmissibili, le due malattie sessualmente trasmesse più comuni sono la gonorrea e l’infezione da Chlamydia. Senza trattamento, gli stessi microrganismi che causano queste malattie possono causare anche un PID.

Quale tipo di problemi porta?
Il PID è una delle causa principale di malattia nelle giovani donne; molte necessitano di ospedalizzazione, per altre è consigliabile un intervento chirurgico in genere risolutivo del problema.
Può essere anche una causa principale di gravidanza ectopica (extrauterina), la lesione di una tuba di Falloppio può causare l’annidamento di un ovocita fecondato all’interno della tuba e la sua crescita in quella sede al posto della cavità uterina; ciò può portare a rottura della tuba e sanguinamento endoaddominale, condizioni che richiedono un intervento chirurgico d’urgenza .
La malattia infiammatori pelvica può portare ad altri problemi a lungo termine:
– formazione di un ascesso
– frequenti periodi di malattia
– dolore cronico spontaneo e/o durante i rapporti
– invalidità fisica

Può provocare Sterilità?
La malattia infiammatoria pelvica è tra le più comuni cause di sterilità, l’infezione può causare una alterazione funzionale ed anatomica delle tube.
Tanto più frequentemente si contrae una PID, e quanto più tardivamente verrà diagnosticata tanto maggiori saranno le probabilità di essere sterile.

Chi è a rischio?
La PID è più frequente nelle donne di età tra i 20/27 anni che hanno rapporti sessuali con più di un partner o le donne che hanno un partner che ha più di una partner sessuale.

Quali sono i sintomi più frequenti?
La MIP può causare sintomi severi, lievi o nessun sintomo.
I sintomi che possono insorgere comprendono:
– Perdite vaginali maleodoranti
– Minzione dolorosa
– Dolore a livello dei quadranti addominali inferiori
– Sanguinamento uterino anomalo
– Febbre e brividi
– Nausea e vomito

Come si cura?
La malattia infiammatoria pelvica viene trattata in primo luogo con antibiotici che, nella maggior parte dei casi, possono da soli eliminare l’infezione.
Due antibiotici spesso impiegati sono l’ampicillina e le tetracicline, i farmaci devono essere assunti per 10-14 giorni per assicurarsi che l’infezione sia risolta.
Se la terapia con antibiotici fallisce e si sospetta la rottura di un ascesso, potrebbe essere necessario un intervento chirurgico.

Cisti ovariche

Talvolta si può formare una cisti a livello di un ovaio, cioè una sacca piena di fluido simile ad una bolla.
Alcune cisti ovariche si formano come risultato di una normale ovulazione (rilascio di un ovocita dall’ovaio), insorge molto velocemente e può scomparire entro due o tre giorni, alcune cisti possono rimanere più a lungo e sono spesso avvertite con un dolore sordo e un senso di pesantezza e talvolta possono causare dolore durante i rapporti sessuali.
Un ecografia pelvica confermerà la presenza di una cisti.
Le cisti di piccole dimensioni generalmente scompaiono da sole, quelle di grande dimensione e quelle che non scompaiono da sole entro pochi mesi potrebbero richiedere di essere asportate con un intervento chirurgico.

<h3″>Gravidanza ectopica

Una gravidanza tubarica o ectopica è una gravidanza che si instaura fuori dall’utero, spesso in una tuba di Falloppio, il dolore inizia da un lato dell’addome dopo il salto di una mestruazione e può verificarsi un sanguinamento vaginale o uno stillicidio ematico intermestruale associato al dolore.
Questo problema necessita una cura urgente e può richiedere un intervento chirurgico.
Altre cause:

  • Aderenze
  • Fibromi uterini
  • Diverticolite
  • Calcoli renali o vescicali
  • Appendicite
  • Spasmi o strappi muscolari

Il Ciclo Mestruale

Cosa si intende per Ciclo Mestruale?
L’organismo femminile, dalla pubertà fino alla menopausa, va incontro a delle modificazioni ormonali , funzionali e strutturali, necessarie per assicurare la fertilità, a carico dell’apparato genitale che si ripetono clinicamente ogni mese.
Sotto il controllo dell’ipofisi, ogni mese le ovaie producono gli ormoni femminili (estrogeni e progesterone) e le cellule uovo (o ovociti), le quali rappresentano le cellule riproduttive femminili.
Quando la cellula uovo è matura, si verifica l’ovulazione.
A tal punto la cellula uovo intraprende il percorso della tuba, all’interno del quale se incontra uno spermatozoo, può venire fecondata e qualche giorno dopo può impiantarsi nella cavità uterina, dando così inizio ad una gravidanza.
Se invece la fecondazione non avviene, l’ovocita viene espulso e circa 10-14 giorni dopo l’ovulazione si verifica la mestrurazione e ciò avviene con scadenza mensile.
Si definisce Menarca la prima comparsa delle mestruazione e si verifica al’età compresa tra i 10 e 16 anni.
Quando la prima mestruazione appare prima dei 10 anni si parla di pubertà precoce mentre quando compare tra i 16 e i 18 anni si parla di ritardo puberale o menarca ritardato.
Si definisce Menopausa la cessazione definitiva delle mestruazioni, si verifica mediamente intorno ai 50 anni

Quando è che un Ciclo Mestruale si definisce regolare?
Per durata del ciclo mestruale si definisce l’intervallo di tempo che intercorre dal primo giorno di una mestruazione e il primo giorno della mestruazione successiva.
La durata può essere variabile, solitamente si considera normale un periodo che va dai 25 ai 31 giorni, con una media di 28 giorni.

Il Ciclo viene suddiviso in due fasi:
– prima fase (preovulatoria,o proliferativa, o follicolare, o estrogenica)
– seconda fase (postovulatoria,o secretiva, o luteinica, o progestinica)

L’ovulazione è l’evento che separa le due fasi.
La donna può soggettivamente riconoscere il momento dell’ovulazione in base ad alcuni segni: presenza di una tipica leucorrea dovuta all’aumento di produzione del muco cervicale in fase preovulatoria, episodio di dolore al basso ventre dovuto al verificarsi dell’ovulazione, aumento della temperatura basale dovuto all’azione del progesterone.
Tali segni, utili nel riconoscere il periodo fecondo, sono anche alla base dell’utilizzo dei cosiddetti metodi naturali di contraccezione.
In caso di cicli irregolari o cicli lunghi, mentre la durata della prima fase ( postovulatoria o luteinica) solitamente ha una durata media di 12-16 giorni.
Quando la fase postovulatoria o luteinica dura meno di 10-11 giorni, si parla di fase luteinica corta o insufficienza luteinica.

 

Cosa si intende quando si parla di alterzioni del Ciclo Mestruale?
In certi casi si possono verificare delle irregolarità del C.M., le quali non hanno sempre un significato patologico, ma spesso possono essere il risultato di alterazioni dell’equilibrio ormonale, in altri casi possono essere causate o favorite da alcune patologie a carico dell’apparato genitale ( come può succedere in caso di flussi mestruali eccessivamente abbondanti in una donna affetta da fibromatosi uterina).

Le diverse irregolarità mestruali possono essere:
AMENORREA: completa assenza delle mestruazioni per almeno tre mesi.
AMENORREA primitiva o primaria: quando non vi è ancora stata la prima mestruazione al raggiungimento dei 17 anni di età.
AMENORREA secondaria: scomparsa delle mestruazioni per un periodo superiore ai tre mesi, dopo un periodo di mestruazioni più o meno regolari.
Ciò può dipendere da vari problemi: ormonali, psicogeni, patologie genitali o generali ( extragenitali), eccessivo dimagrimento ( anoressia).
– L’AMENORREA incide notevolmente sulla serenità della pazienteed è causa di forte preoccupazione ed angoscia.
Va saputa diagnosticare con esattezza la causa responsabile di tale patologie , e anche la terapia va scelta accuratamente per non compromettere l’integrità dell’asse ormonale.
Molti ginecologi danno con estrema semplicità una “pillola” che solo nel periodo di assunzione può risolvere il problema.
POLIMENORREA : quando le mestruazioni sono eccessivamente ravvicinate, si verificano cioè con intervallo di tempo inferiore ai 25 giorni.
OLIGOMENORREA: quando le mestruazioni si verificano ad intervalli di tempo superiori ai 36 mesi ( cicli lunghi, con flussi distanziati).
IPOMENORREA: flussi mestruali più scarsi della norma, di quantità inferiore a 20ml.
IPERMENORREA: flussi mestruali abbondanti, di quantità superiore a 80 ml.
– MENORRAGIA: perdita di sangue mestruale eccessivamente abbondante, a carattere emorragico, per una durata più lunga rispetto alla mestruazione regolare.
METRORRAGIA: perdita di sangue di variabile entità (abbondante o scarsa) che si verifica in maniera indipendente dal periodo mestruale, oppure in un periodo in cui non dovrebbero esservi mestruazioni ( gravidanza, postmenopausa o prima della pubertà).
MENOMETRORRAGIA: perdita di sangue iniziata con la mestruazione e persistente per più giorni anche dopo il periodo mestruale, solitamente abbondante.
DISMENORREA: mestruazione particolarmente dolorosa.
DISMENORREA PRIMARIA o ESSENZIALE: non sono riconoscibili eventuali patologie a cui attribuirne la causa.
DISMENORREA SECONDARIA: mestruazioni dolorose che compaiono successivamente, cioè in donne che in precedenza non avevano mestruazioni dolorose.
Spesso sono presenti situazioni infiammatorie o l’endometriosi

 

Quali accertamenti diagnostici sono necessari in caso di irregolarità del CM?
In presenza di alterazioni del CM o di mestruazioni particolarmente dolorose è bene eseguire accertamenti ginecologici utili a ricercare le possibili cause ( problemi ormonali, endometriosi, fibromatosi, ecc.) o a correggere gli effetti ( dolore, anemia, infertilità, ecc.) delle irregolarità mestruali.

Accertamenti diagnostici importanti sono:
ANAMNESI: caratteristiche dei cicli, dolore, gravidanze, altre patologie, ecc.
VISITA GENERALE: peso corporeo, caratteri sessuali secondari, pressione arteriosa ecc.
VISITA GINECOLOGICA: morfologia degli organi genitali, ricerca di possibili patologie cause di sanguinamento anomalo ( fibromatosi uterina, polipo cervicale, patologie del collo dell’utero, ecc.)
ESAMI DI LABORATORIO: Dosaggi e test di stimolo e/o soppressione ormonali (Questi vanno saputi prescrivere e soprattutto interpretati in correlazione ai sintomi riscontrati)e generali ( emocromo, coagulazione, funzionalità epatica e renale, ecc.)
ECOGRAFIA: per valutazione nella morfologia dell’apparato genitale ed in particolare dell’aspetto dell’endometrio ( ben valutabile con ecografia trasvaginale)
ISTEROSCOPIA: nei casi in cui si ritiene necessaria, l’isteroscopia risulta preziosa nella valutazione della cavità uterina e dell’endometrio, potendo per quest’ultimo fornire la possibilità di eseguire un prelievo bioptico.

 

Qual è la terapia ottimale per risolvere tali problemi?
Ogni alterazione del ciclo ha una o più terapie specifiche che vanno valutate da paziente a paziente, un insieme molteplice di fattori ( peso,cute, altezza ecc)

Cos’è l’Endometriosi?
Il rivestimento della cavità uterina viene detto endometrio.
Talvolta, un tessuto simile ad esso cresce in altre parti del corpo soprattutto a livello pelvico; quando ciò avviene si parla di endometriosi, questa patologia può causare dolore specialmente durante la mestruazione.
Per alcune donne, il dolore è lieve; per altre può essere severo e può essere causa anche di sterilità.
Il tessuto endometriale può attaccarsi ad altri organi pelvici o al peritoneo, può interessare anche altre parti del corpo, ma ciò è molto raro.

Più frequentemente è presente nella pelvi e può interessare:
– Le ovaie
– Le tube di Falloppio
– La superficie esterna dell’utero
– Il cul-de-sac del Douglas
– L’intestino
– La vescica
– Il retto

Il tessuto endometriale al di fuori dell’utero risponde alle modificazioni mensili degli ormoni allo stesso modo di quello presente all’interno dell’utero.
Può anche sfaldarsi e sanguinare; questo sanguinamento causa dolore specialmente durante la mestruazione.
Lo sfaldamento e il sanguinamento di questo tessuto ogni mese causano la formazione di un tessuto cicatriziale (le aderenze).
Talvolta le aderenze uniscono gli organi e possono causare dolore.
Se il sangue si accumula nell’ovaio per la presenza di aderenze si forma un endometrioma (un particolare tipo di cisti).

Quali sono le cause?
Non sono note le cause dell’endometriosi. Una teoria sostiene che il sangue talvolta refluisce verso l’alto portando il tessuto dalla cavità uterina nelle tube di Falloppio durante le mestruazioni; il tessuto esce, quindi, dalle tube e si attacca in altre sedi. Un’altra teoria sostiene che le cellule endometriali vengono trasportate attraverso i vasi sanguigni e linfatici. Circa il 7% delle donne in età fertile negli Stati Uniti è affetto da endometriosi che è più frequente nelle donne di 30-40 anni, ma può insorgere in qualsiasi età nelle donne che mestruano e si verifica più frequentemente nelle donne che non hanno mai avuto figli.

Quali sono i sintomi più frequenti?
I sintomi dell’endometriosi comprendono il dolore pelvico; tale dolore può insorgere durante i rapporti sessuali, durante l’evacuazione intestinale o durante la minzione, oppure appena prima di un flusso mestruale.
L’endometriosi può causare anche spotting e sterilità.
Sebbene tali sintomi possono essere segni di endometriosi, potrebbero suggerire anche altri problemi.

 

Se avete uno qualsiasi di questi sintomi CONSULTATECI

L’endometriosi può essere anche asintomatica.

 

Come si fa una diagnosi sicura?
Il solo modo per confermare una diagnosi di endometriosi sospetta è di guardare direttamente all’interno del corpo; ciò viene eseguito con un a laparoscopia. Mediante una piccola incisione vicino all’ombelico, ve un sottile endoscopio chiamato laparoscopio che consente di visualizzare gli organi pelvici, valutando accuratamente l’estensione dell’endometriosi. Questa può essere trattata anche durante la laparoscopia cioè asportando subito il tessuto endometriosico.

In cosa consiste in trattamento terapeutico?
Il trattamento per l’endometriosi dipende dai sintomi e se si desidera una gravidanza.

Può essere trattata con terapia farmacologica, con la chirurgia o con entrambe.

FARMACI
Per alleviare il dolore possono essere utilizzati gli ormoni, questi potrebbero aiutare a rallentare la crescita del tessuto endometriosico.
Gli ormoni più frequentemente usati comprendono i contraccettivi orali, gli antagonisti del GNRH, i progestinici ed il danazolo.
Non tutte le donne, tuttavia, ottengono un sollievo del dolore dalla terapia farmacologica perché questi non riducono le aderenze od il tessuto cicatriziale, che possono essere la causa del dolore.

Contraccettivi orali : le pillole anticoncezionali vengono spesso prescritte per alleviare i sintomi dell’endometriosi.
Gli ormoni presenti aiutano amantenere le mestruazioni regolari, meno abbondanti, di minore durata e possono alleviare il dolore.

Analoghi del GnRH : Il GnRH è un ormone che aiuta a controllare il ciclo mestruale.
Gli antagonisti del GnRH sono farmaci simili all’ormone naturale e abbassano i livelli di estrogeni mettendo a riposo le ovaie e determinando una condizione temporanea simile alla menopausa.
Solitamente, con questa terapia, le aree endometriosiche si riducono e il dolore diminuisce, però le donne che li assumono possono avere vampate, cefalee e secchezza vaginale.

Progestinico : L’ormone progestinico viene anche usato per ridurre le zone di endometriosi, antagonizza gli effetti degli estrogeni su questo tessuto.
Quando si assume un progestinico si ha la scomparsa delle mestruazioni.

Danazolo : è un ormone sintetico che riduce il tessuto endometriosico; viene assunto per via orale e interrompe il ciclo mestruale.
Il danazolo agisce molto bene per ridurre il dolore pelvico ed il dolore durante i rapporti sessuali.
I sintomi dell’endometriosi solitamente ricompaiono entro 6 settimane dalla sospensione del farmaco.
Gli effetti collaterali possono comprendere un aumento di peso, l’acne, la voce diventa più cupa e la crescita di peli.
Il trattamento con dananzolo non è adatto per tutte le donne ; coloro che hanno problemi epatici, renali o cardiaci non possono assumerlo.

CHIRURGIA
Può essere eseguito un intervento chirurgico per asportare l’endometriosi ed il tessuto cicatriziale circostante, le ovaie sane e le tube di Falloppio normali vengono lasciate quanto più spesso possibile per aumentare la probabilità di una gravidanza futura.
Attualmente l’intervento più eseguito è quello per via laparoscopica rispetto alla laparotomia, infatti la laparoscopia richiede una degenza ospedaliera molto minore, un incisione più piccola ed un minore tempo di convalescenza.
Non tutte le condizioni possono essere trattate con la laparoscopia, talvolta può ancora essere necessaria la laparotomia.
L’intervento è efficace sia per trattare il dolore che la sterilità, ma i sintomi possono ripresentarsi; circa un terzo delle donne che sono state sottoposte ad intervento chirurgico avranno bisogno di un ulteriore intervento entro 5 anni.

Che tipi di contraccettivi esistono?
Fondamentalmente esistono quattro tipi di contraccettivi:
1) Su base ormonale
2) su base meccanica
3) su base chimica
4) su base naturale

Come stabilisco il contraccettivo più efficace?
Secondo l’indice di Pearl, che si basa su un calcolo matematico dal quale si stabilisce qual’é il contraccettivo più sicuro; molto più semplicemente possiamo dire che i sistemi più sicuri sono quelli ormonali, la pillola contraccettiva, la quale presenta una sicurezza del 100% se non viene dimenticata , e subito dopo, quello meccanico : la “Spirale”.

Come agisce la pillola?
La pillola agisce a vari livelli, in primis porta ad una diminuizione della produzione di FSH e LH, ormoni responsabili della maturazione della cellula riproduttiva femminile l’OVOCITA, quindi blocca l’ovulazione; agisce a livello della mucosa uterina rendendola poco adatta ad un eventuale impianto di un embrione; agisce inoltre modificando il muco cervicale da renderlo difficilmente penetrabile agli spermatozooi

Si sente parlare di pillole a basso dosaggio ormonale… che vantaggi portano?
I vantaggi sono diversi: per esempio,non hanno effetto sulla ritenzione idrica , sull’aumento di peso, sullle variazioni del tono dell’umore.
E’ anche però vero che ogni donna ha il suo tipo di pillola, nel senso che queste pillole, a basso dosaggio estrogenico, in alcuni soggetti possono causare cefale e secchezza vaginale

Gli ormoni che sono contenuti dentro la pillola sono tutti uguali?
Gle estroprogestinici ( EP ), cosi vengono definiti, da un punto di vista della loro efficacia sono tutti perfettamente uguali; non sono però uguali e la loro azione ed efficacia varia con le loro concentrazioni: per esempio alcuni progestinici hanno azione antiandrogenica, per cui vanno meglio per pazienti che hanno un’abbondanza di peluria, o pelle grassa, o acne…;

La pillola che prende la mia amica può andare bene anche per me?
Assolutamente NO. Come detto prima ogni donna ha il suo tipo di pillola che dovrà essere scelta accuratamente dallo specialista sulla base di una attenta anamnesi e sintomatologia della pazeinte stessa.

Vanno fatti degli esami prima di prendere una pillola?
E’ assolutamente necessario che la pillola venga prescritta dal ginecologo dopo che egli stesso avrà valutato, dopo una attenta anamnesi, una visita con ecografia se sono necessari particolari esami ematochimici.
Di base sicuramente è consigliabile eseguire una glicemia, tutta la linea della coagulazione sanguigna ed epatica.

La pillola può essere presa anche in periodo adolescenziale?
Nel momento in cui l’adolescente inizia ad avere rapporti sessuali e consigliabile, senza alcuna controindicazione (salvo casi particolari) iniziare una copertura con pillola.

Quando una donna deve smettere di prendere una pillola?
Se tenuta sotto controllo e se priva di effetti collaterali la terapia EP (estroprogestinica) può essere continuata sino a 50/55 anni per poi adottare una terapia sostitutiva specifica per la menopausa

Il fumo è una controindicazione?
Di per se il fumo è sempre nocivo alla salute di qualunque persona; se in associazione con la pillola , questo può favorire l’insorgenza di trombosi o malattie cardiovascolari.
Il numero massimo di sigarette “ ammissibili” è di 7/10 al giorno.

Se ho problemi cardiaci posso prendere una pillola?
Di base non è una controindicazione; certo è che dovrà essere valutata la patologia cardiaca, il tipo di EP da dare, le eventuali interazioni con i farmaci cadiologici,e la paziente dovrà essere seguita con molta più attenzione.

 

Con l’endometriosi posso prendere la pillola?
Assolutamente SI, anzi la pillola è una delle terapie di elezione per la cura dell’endometriosi, e per l’attenuazione della sintomatologia dolorosa che questa provoca (vedi endometriosi)

Con un aumento di “grassi” nel sangue posso prendere la pillola?
La pillola è controindicata solo per incrementi di colesterolo o trigliceridi particolarmente gravi (aumento del 30/50%)

E se ho il diabete?
Si può tranquillamente prendere un contraccettivo orale nelle forme di diabete non grave

Soffro di epilessia, posso fare contraccezione?
Certamente; anche perché una eventuale gravidanza potrebbe essere più pericolosa della terapia stessa

E se ho mestruazioni irregolari?
Dopo che è stata fatta una precisa diagnosi del perché si manifestano le irregolarità mestruali , la terapia con EP è la terapia d’elezione che potrà essere continuata anche per tutta la vita

Con le mestruazioni dolorose è pericoloso prendere un contraccettivo?
Assolutamente no; anzi dopo pochi cicli il dolore scompare

Perdo sangue da quando ho iniziato la pillola è grave?
La comparsa di questi disturbi nei primi trenta, sessanta giorni non controindica assolutamente la continuazione del trattamento con lo stesso progestinico poichè la causa può essere attribuita all’adattarsi dell’endometrio al nuovo assetto ormonale

Cosa posso fare se le perdite ematiche (spotting) continuano?
Ci si sottopone ad una ulteriore visita specialistica per valutare le cause e per stabilire se c’è per esempio un polipo nel canale cervicale.
Se non si riscontra niente di importante la causa è da imputarsi all’anticoncezionale adottato perché è possibile che, alla lunga, il dosaggio non sia più idoneo.

Se le mestruazioni non mi dovessero venire, nel periodo di sospensione o negli ultimi giorni delle confezioni con 28 pillole mi devo preoccupare?
Se la pillola è SEMPRE stata presa e se non si sono presi antibiotici che possono interferire con l’assorbimento degli EP, non bisogna assolutamente preoccuparsi e rincominciare tranquillamente una nuova confezione.

Se sospendo definitivamente la pillola e le mestruazioni non vengono mi devo preoccupare?
Per il primo periodo il fenomeno è normale ed é dovuto all’endometrio ipotrofico, cioè poco sviluppato.
Se dopo 4/5 mesi le mestruazioni non compaiono è bene sentire uno specialista.

La pillola favorisce l’insorgenza di varici?
Le pillole attualmente in commercio assolutamente no, a meno che una paziente non abbia una predisposizione familiare a tale patologia

Se ho la pressione alta posso prendere la pillola?
La pillola di per se non altera la pressione alta ; in tali pazienti però la terapia contraccettiva va seguita con maggiore attenzione

La pillola fa aumentare di peso?
Da anni abbiamo notato che con le nuove pillole con progestinici diversi da quelli di 15 anni fa non c’é ritenzione idrica e quindi non si nota aumento di peso……… a meno che la paziente non mangi …… come un lupo!!!!

La pillola fa venire mal di testa?
Di base non vi è alcun legame tra EP e cefalea; addirittura in alcuni casi la pillola fa diminuire la cefalea stessa. Comunque sia, ogni caso è una storia a se e bisogna valutare tante piccole variabile che possono indicare una sospensione o una controindicazione all’uso degli EP

La pillola fa venire tumori?
Assolutamente NO, anzi la pillola protegge dalla insorgenza del tumore all’utero, alle ovaie ed al seno. Anche le pazienti che presentano una storia familiare di cancro , possono prendere la pillola; dovranno avere l’accortezza solamente di fare dei controlli specifici più frequentemente.

Quali sono gli effetti della pillola sugli altri farmaci?
Gli estrogeni contenuti nei contraccettivi orali possono provocare un debole effetto di inibizione dei citocromi ( enzimi deputati al metabolismo dei farmaci) con conseguenti inibizione del metabolismo di altri farmaci somministrati.
Sebbene questo effetto sia di dubbia rilevanza clinica, soprattutto per i farmaci a basso dosaggio di estrogeni, è utile ricordare quest’effetto per le benzodiazepine che vanno incontro a idrossilazione epatica (alprazolam, clordiazepossido, diazepam, nitrazepam e triazolam).
L’uso contemporaneo di questi farmaci con i contraccettivi orali potrebbe aumentare gli effetti sedativi e ipotensivi, situazione a rischio soprattutto durante la guida dei veicoli e per le donne che svolgono lavori in cui sono richieste attenzioni e vigilanza continua.

Quali sono gli effetti degli altri farmaci sulla pillola?
Le due classi di farmaci che agiscono sulla riduzione dell’efficacia dell’estrogeno e che quindi possono causare irregolarità mestruali, perdite ematiche intermestruali (evento comune) o una gravidanza inattesa (evento raro), sono gli antibiotici e gli antiepilettici

Per gli antibiotici come rifampicina, rifabutina e grisoefulvina sono disponibili evidenze consistenti dell’effetto di induzione enzimatica e del rischio di inefficacia della pillola.
In questi casi è utile prendere ulteriori precauzioni contraccettive sia durante il periodo di cosomministrazione che per almeno sette giorni dopo la fine del trattamento con antibiotici.
Per gli altri antibiotici ad ampio spettro esiste una maggiore discrepanza tra dati farmacologici ed evidenze cliniche .
Nonostante siano state riportate casistiche di gravidanze non attese in donne trattate con diverse penicelline (ampicillina e doxiciclina), tetracicline o altri antibiotici o altri antibiotici ad ampio spettro, la loro capacità di inibire sistematicamente l’efficacia della pillola non è stata ancora definitivamente dimostrata.
Ciononostante prevale l’atteggiamento di consigliare l’utilizzo di ulteriori sistemi anticoncezionali.
Anche in caso di cosomministrazione di antimicotici ( in particolare fluconazolo, itraconazolo, Ketoconazolo, ma non è possibile escludere con certezza gli altri) segnalazioni di irregolarità mestruali e mancato effetto contraccettivo consigliano di applicare gli stesssi comportamento suggeriti per gli antibiotici.
Durante la cosomministrazione di antiepilettici sono numerose le segnalazioni di inefficacia della pillola o di sanguinamenti intermestruali.
Nelle pazienti che fanno uso di questi farmaci è consigliabile la prescrizione di un contraccettivo con contenuto di estrogeni maggiore (50-100 microgrammi).

Ci sono nuove pillole?
SI. Ci sono nuove vie di somministrazione degli EP:
Una è transdermica. Si applica un cerotto sulla pelle cambiandolo ogni sette giorni e la protezione è assicurata ed è massima.
L’altra consiste nell’inserimento di un anello di gomma sottilissima in vagina e dopo 21 giorni si toglie; anche così vi è massima protezione

Cos’è la pillola del giorno dopo?
E’ una coppia di pillole di emergenza assoluta che vengono prese possibilmente entro 48/72 dal rapporto al rischio, ed ha come scopo di provocare una alterazione dell’endometrio impedendo l’eventuale annidamento dell’embrione.

LA CONTRACCEZIONE MECCANICA
Tale contraccezione si basa sull’uso di agenti fisici che impediscono il concepimento principali sono:

La spirale o IUD
Il diaframma
IL profilattico o preservativo

 

Cos’è la spirale?
La spirale o IUD (dispositivo intrauterino) é un dispositivo, che inserito dentro l’utero impedisce l’annidamento dell’embrione.
Gli IUD possono essere di varie forme, di rame, d’oro o medicati con sostanze ormonali

Quanto dura una spirale?
In genere 2 anni ma vi sono spirali che possono durare anche di più

 

Per chi è adatto lo IUD?
Per le donne che hanno già avuto almeno una gravidanza.
Nelle altre pazienti non é indicata

 

Per chi é assolutamente controindicato?
– nelle infiammazioni pelviche
– nel sospetto di gravidanza voluta
– presenza di neoplasie

 

Quando viene inserito?
Nei primi giorni del flusso mestruale, quindi durante le contrazioni

 

Quali complicanze può dare?
– Infiammazioni pelviche
– Gravidanza extrauterina
– Perforazione dell’utero

 

Il diaframma e il preservativo come funzionano?
Sono così detti metodi barriera, e vengono messi prima del rapporto o nelle precocissime fasi del rapporto stesso.

Il diaframma più complesso a mettere richiede sempre per sicurezza un’aggiunta di una crema spermicida, e non va rimosso prima di 6/8 ore
Il profilattico va inserito con il pene in erezione, facendo attenzione a non romperlo con anelli o unghie troppo lunghe, va tolto subito dopo l’orgasmo; non va riutilizzato.
Ha il vantaggio di proteggere da malattie sessualmente trasmissibili (x es. virus HIV, HCV, papilloma virus ecc)

LA CONTRACCEZIONE CHIMICA
Ormai in disuso per la notevole inefficacia del metodo, si basava su l’uso di creme ad azione spermicida.

LA CONTRACCEZIONE NATURALE
E’ l’unica contraccezione ammessa dalla chiesa.

 

Quanto è sicura?
E’ una delle meno sicure in assoluto; le più note sono il metodo Ogino-Knaus, il metodo Billings, e l’osservazione della temperatura basale

Come funzionano?
La prima si basa su un ragionamento fisiologico; cioè se in un ciclo regolare di 28 giorni l’ovulazione avviene circa al 12/14 giorno e se l’ovulo può essere fecondato solo nelle prime 24 ore dall’ovulazione, i giorni antecedenti e seguenti l’ovulazione dovrebbero NON essere fertili.

Il secondo metodo si basa sulle modificazioni del muco cervicale che nel periodo critico assume un aspetto tipico “a chiara d’uovo”; al di fuori di tale aspetto ……..rapporti………. sicuri

Il terzo sistema si basa su rilevamento quotidiano della temperatura corporea basale. Quando questa aumenta di 4/5 decimi l’ovulazione è avvenuta e i rischi non ci dovrebbero essere

E allora perché tutti e tre i sistemi funzionano poco?
Perché il ciclo mestruale può subire delle variazioni mensili anche improvvise dovute a diversi fattori come:
acuti stress;
assunzione di farmaci;
sindromi influenzali o altre patologie;
cambiamentei di stagione;
errori di calcolo soggettivi ecc ecc…

H.P.V. Human Papilloma Virus

Mi hanno diagnosticato l’H.P.V o condilomi cosa sono?
L’H.P.V. (Human Papilloma Virus) è responsabile di varie lesioni, comunemente note sotto il nome di condilomi, che si possono riscontrare a livello dell’apparato genitale inferiore ( perineo, vulva, vagina e collo dell’utero) femminile, nonchè a livello genitale maschile.
Le lesioni che si sviluppano a livello della cute perineale e perianale, e quelle che si sviluppano a carico di vulva e vagina sono visibili ad occhio nudo e si definiscono condilomi, questi hanno l’aspetto di lesioni rilevate, verrucose, di dimensioni variabili, singole o plurime.
A livello del collo dell’utero solitamente le lesioni non sono visibili ad occhio nudo, ma per essere riconosciute richiedono l’esame colposcopico.
La condilomatosi cervicale per il fatto di non essere visibile ad occhio nudo viene definita subclinica.

 

Come si trasmette?
L’ H.P.V. si trasmette prevalentemente con l’attività sessuale ed oggi si ritiene che questa infezione sia una delle più comuni malattie sessualmente trasmesse. La sua massima incidenza si ha nelle persone di età compresa tra i 20 e i 40 anni, si può anche trasmettere mediante oggetti (ad esempio biancheria) che siano venuti a contatto con persone infette.

Come si arriva ad una diagnosi di H.P.V.?
Si diagnostica a occhio nudo attraverso una diagnosi clinica (visita ginecologica) e per una loro più accurata valutazione è di aiuto la vulvoscopia ( esame della vulva tramite il colposcopio) o se non sono visibili ad occhio nudo perchè localizzate sul collo dell’utero possono essere identificati con altri mezzi: PAP-test, Colposcopia, biopsia, immunoistochimica.
Il PAP-test permette di identificare i coilociti ( cellule cervicali che manifestano all’esame microscopico delle alterazioni dovute all’azione del virus H.P.V.) ed inoltre il PAP-test segnala segnala se oltre alla coilocitosi sono presenti cellule di tipo displasico.
La Colposcopia permette di valutare sul collo dell’utero l’esistenza e la localizzazione delle lesioni segnalate dal PAP-test, e quindi consente di indivuiduare con precisione la sede su cui effettuare una biopsia mirata che porterà, con l’esame istologico, alla diagnosi definitiva.

Come si cura l’ H.P.V.?
Le terapie sono variabili a seconda del tipo e la sede delle lesioni da trattare.
I condilomi presenti a livello perineo, vulva e vagina vanno distrutti mediante diatermocoagulazione con elettrobisturi o mediante vaporizzazione con laser, in occasione del trattamento è opportuno prelevare qualche condiloma da sottoporre ad esame istologico per una conferma della diagnosi.
Per quanto riguarda le lesioni a livello del collo dell’utero è determinante sapere se esiste un eventuale associazione di una Displasia e il grado di quest’ultima (lieve, moderata o grave) son preferibili quei trattamenti che consistono nella escissione di tutta la lesione.

Come si previene?
La prevenzione si basa su un comportamento sessuale attento nel prevenire ogni genere di infezioni, in particolare si raccomanda l’uso del profilattico. Inoltre, per il precoce riconoscimento delle infezioni da H.P.V. e la< prevenzione ad esso associate (displasie) è fondamentale un regolare controllo con il PAP-test e, quando necessario, con la Colposcopia.

Fibroma Uterino

Che cosa sono i Fibromi?
I fibromi sono lesioni tumorali benigne dovute all’esagerato sviluppo di cellule muscolari lisce.
Tali formazioni possono avere una duplice componente: muscolare e fibrosa.
Se predomina la componente fibrosa si chiamano fibromi, se prevale quella muscolare miomi e se non c’è differenza fibromiomi.
Generalmente i fibromi si formano nell’utero, ma possono interessare anche l’ovaio, la vagina e la vulva. Solo raramente si trasformano in tumori maligni (0,1% dei casi) e, in genere, questo accade quando le dimensioni aumentano velocemente.
In ogni caso, per quanto benigni, possono compromettere la qualità di vita della donna (emorragie, dolori e infertilità), per questo è importante conoscerli meglio.
Il Fibroma è una patologia tipica dell’età fertile e come tale può essere stimolato nel suo accrescimento dalla produzione ovarica di estrogeni (ormoni tipici femminili), infatti con al menopausa si verifica spesso una riduzione del suo volume.

Dipende da un fattore ormonale?
Non si conosce con certezza l’origine del fibroma, anche se sono sicuramente implicati gli ormoni estrogeni che stimolano la moltiplicazione delle cellule del fibroma stesso.
Non a caso, durante la gravidanza, quando il livello d’estrogeni è elevato, un eventuale fibroma cresce, mentre dopo la menopausa, quando viene meno proprio la produzione di questi ormoni, la formazione può addirittura ridursi fino a scomparire del tutto.

Che forma possono avere?
In genere, i fibromi hanno una forma rotondeggiante e spesso sono peduncolati, vale a dire collegati alla superficie uterina con una sorta di cordoncino, da cui si di parte, poi, la vera e propria formazione.
Le dimensioni vanno da pochi millimetri a decine di centimetri di diametro.
Possono essere singoli o multipli.
Secondo alcuni dati della letteratura i fibromi uterini interessano il 5% della popolazione femminile, raggiungendo il 20% nelle donne fra i 40 e i 50 anni.

Dove si sviluppano?
Il 97% dei fibromi si forma nel corpo dell’utero, mentre il restante 3% nel collo dell’utero (cervice) o nell’istmo ( tratto dell’utero interposto tra il collo e il corpo dell’utero).
La sede in cui compaiono è importante perché determina la possibilità di compromettere per es. la fertilità (un fibroma che blocca lo sbocco delle tube di Falloppio nell’utero interferisce con la fecondazione, impedendo una gravidanza) e perché, proprio in base alla sede di sviluppo è indicato un diverso tipo di trattamento.

Possiamo, quindi, distinguere i fibromi in tre categorie secondo la loro localizzazione:
1.sottosierosi, quando tendono a crescersi prevalentemente verso l’esterno dell’utero, sotto il peritoneo che lo riveste. Costituiscono il 20% dei fibromi.
2.sottomucosi, quando sporgono prevalentemente verso l’interno della cavità dell’utero. Raggiungono il 10% dei fibromi.
3.intramurali, quando si sviluppano esclusivamente nello spessore della parete muscolare uterina,e in relazione al loro volume, comportano modificazioni di forma e di volume dell’utero. Accade nel 70% dei fibromi.

Che disturbi danno?
Nel 50% dei casi i fibromi non causano alcun problema e, quindi, possono non essere curati perché non si ha segno della loro presenza. Nell’altro 50% dei casi, quando sono presenti diversi sintomi, questi possono consistere in problemi emorragici ( menometrorragie), o talora possono manifestarsi disturbi dovuti alla compressione da parte del fibroma su organi vicini, oppure può esservi una sintomatologia dolorosa.

– Disturbi mestruali:
Nel 30% dei casi i fibromi provocano un flusso mestruale abbondante e prolungato (menometroraggia) e spesso la donna può arrivare all’anemia.
Questo è particolarmente evidente nei voluminosi fibromi sottomucosi, che contribuiscono ad aumentare il volume dell’utero e lo spessore dell’endometrio.
Possono però manifestarsi sintomi emorragici anche in presenza di fibromi intramural; in tal caso il sanguinamento può essere dovuto ad una minore capacità contrattile dell’utero (in conseguenza della sua struttura fibromatosa) o ad una anomala vascolarizzazione.

– Dolore:
Quelli più grossi, soprattutto intramurali e sottosierisi, possono provocare dolore comprimendo gli organi vicini. Inoltre possono determinare altri disturbi: se un fibroma preme sulla vescica aumenta la frequenza della minzione (pollachiuria) mentre, se preme sull’ultimo tratto intestinale (il retto) provoca una difficoltà alla defecazione.

– Problemi di fertilità:
Poiché l’utero è la sede dello sviluppo del feto, chiaramente un fibroma può mettere a rischio sia il concepimento, sia la gravidanza stessa.
Se il fibroma si trova all’imbocco delle tube di Falloppio impedisce, di fatto, allo spermatozoo di raggiungere la cellula uovo e di fecondarla.
Se il fibroma è, invece, localizzato nella cavità uterina può stimolare le contrazioni muscolari uterine favorendo, quindi, un aborto spontaneo, o meno frequentemente, un parto pretermine.

Come si scoprono?
Per scoprire la presenza di un fibroma la visita ginecologica è sufficiente solo se la lesione tumorale raggiunge i 5-6 cm e se la donna è abbastanza magra.

In alternativa occorre ricorrere ad alcuni esami strumentali:
– l’ecografia addominale e transvaginale: si utilizzano sonde ad ultrasuoni, appoggiate sull’addome o inserite in vagina, che permettono uno studio accurato della struttura dell’apparato genitale interno (utero ed ovaie) e quindi è possibile descrivere numero , struttura e sede ( intramurale, sottosierosa o sottomucosa) dei fibromi.
Grazie alla possibilità di misurare con precisione le dimensioni dei fibromi, l’ecografia è utilissima nel controllare nel tempo l’eventuale tendenza all’accrescimento dei fibromi.
– la sonoisterografia: ecografia pelvica transvaginale associata all’introduzione, con un sottile catetere per via vaginale, di 20 cc di soluzione fisiologica all’interno dell’utero.
Il fluido raggiunge la cavità uterina, ne separa le pareti permettendone un’accurata valutazione;
– l’isteroscopia diagnostica: esame invasivo che, attraverso un tubo sottile con fibre ottiche, inserito nell’utero attraverso la vagina, permette di vedere e registrare su un monitor l’interno della cavità uterina, potendo così accertare la presenza di fibromi sottomucosi, che si sviluppano verso la cavità deformandone le sue pareti, è possibile anche valutare la presenza di fibromi in prossimità degli sbocchi delle tube verso l’utero, con conseguente ostacolo alla fertilità.

Come si cura il fibroma uterino?
La scelta della terapia dipende da vari fattori: l’eventuale presenza di sintomi e la loro entità, l’età della paziente, l’eventuale desiderio di gravidanze, il volume del fibroma.
In caso di fibroma non molto voluminoso, diagnosticato in una paziente che non presenta sintomi, può essere sufficiente tenere una condotta di attesa, limitandosi a dei controlli periodici (visita ginecologica e controlli ecografici ogni sei mesi).
Al contrario in una paziente sintomatica vanno fatte delle scelte terapeutiche, che possono essere in alcuni casi di tipo farmacologico, e più frequentemente di tipo chirurgico.
*Nel 10-30% dei casi la comparsa di nuovi fibromi dopo l’intervento (recidive) è legata alla presenza di fibromi troppo piccoli (nell’ordine dei millimetri) non evidenziabili né all’ ecografia né al tatto.

In cosa consiste la terapia farmacologica?
Per agire contro i fibromi si può ricorrere a farmaci:
– progestinici : che riducono lo spessore dell’endometrio e limitano il sanguinamento uterino,
– analoghi del Gn-Rh : questi preparati ( solitamente somministrati in forma di iniezioni intramuscolari, una ogni 4 settimane per 4-6 mesi) comportano un blocco temporaneo della attività di produzione ormonale da parte delle ovaie, si viene così ad instaurare una sorta di menopausa farmacologica reversibile bloccando, di fatto, le mestruazioni Questi farmaci riescono a ridurre di volume il fibroma (fino al 30%).
Gli effetti non sono però permanenti; infatti dopo la sospensione della terapia può ripresentarsi la precedente sintomatologia emorrargica, ed inoltre può riprendere l’accrescimento dei fibromi.
D’altra parte tale terapia non può essere protratta molto a lungo a causa dei fastidiosi sintomi di tipo menopausale ( ad es. vampate di calore) che comporta, e per gli altri disturbi metabolici che può comportare, nonché per l’effetto favorente l’osteoporosi.
Pertanto tale scelta terapeutica viene fatta o in vista di un intervento chirurgico ( con l’intento di favorire una riduzione di volume del fibroma per facilitare l’intervento) o nell’attesa della menopausa per controllare le menometrorragie fino alla cessazione spontanea delle mestruazioni.
– Danazolo: anche questo preparato è efficace nel controllare le menometrorragie ed inoltre, se la terapia è protratta per 4-6 mesi, può frenare l’ulteriore sviluppo del fibroma.

Quali sono le terapie chirurgiche?

L’isteroscopia
Questo intervento è indicato per l’asportazione di fibromi sottomucosi di 4-5 cm. L’operazione è controindicata se c’è un’infiammazione pelvica in atto.
Come si svolge?
L’intervento è svolto in regime di day-hospital, in anestesia locale o generale, inserendo attraverso la vagina, nell’utero, l’isteroscopio (esattamente come per l’isteroscopia diagnostica) e, con esso, strumenti miniaturizzati per asportare il fibroma. Dura circa 15-30 minuti.
*Eventualmente occorre preparare l’utero con l’assunzione degli analoghi del Gn-Rh.
La convalescenza
Con questo intervento non rimangono cicatrici, né esterne né interne, e sono sufficienti 1-2 giorni di degenza accompagnati da una convalescenza breve e da una rapida ripresa delle normali attività.
E’ anche vero, però, che spesso occorre intervenire una seconda volta per asportare eventuali residui del fibroma.

La laparoscopia
La laparoscopia è consigliata per l’asportazione di fibromi sottosierosi del diametro di 5 cm (massimo 8 cm) e che non siano di numero superiore a 2-3.
L’intervento non è sempre indicato nelle donne già sottoposte a precedenti interventi chirurgici addominali.
Come si svolge?
L’intervento si svolge, in anestesia generale, introducendo nell’addome, attraverso 3 piccole incisioni, il laparoscopio, un tubo dotato di fibre ottiche che permette di vedere la cavità addominale, e gli strumenti chirurgici miniaturizzati, manovrabili dall’esterno, per asportare la lesione.
Dura circa un paio d’ore.
La convalescenza
La laparoscopia è meno traumatica e le cicatrici chirurgiche sono ridotte.
Pertanto comporta minor dolore post-operatorio, minor tempo di guarigione (con buoni risultati anche estetici), con minor degenza (1-2 giorni) rispetto alla laparotomia (vedi oltre).
E’ anche vero che questo intervento non permette di “vedere” e quindi di eliminare i fibromi più piccoli, aprendo la strada a recidive.

La laparotomia
Si ricorre alla laparotomia in presenza di tanti e voluminosi fibromi, in particolare se sono intramurali.
Come si svolge?
Questa tecnica prevede l’apertura della parete addominale con un’incisione della pelle trasversalmente o longitudinalmente in base alle dimensioni dei fibromi. Si individuano le formazioni e si asportano. Quindi, si ricostruisce l’utero e poi si sutura la parete addominale. L’intervento eseguito in anestesia generale dura mediamente un paio d’ore, ma varia in base al numero e alle dimensioni dei fibromi.
La convalescenza
Il ricovero ospedaliero dura circa 4-5 giorni e già dopo 3-4 settimane si riprendono le normali attività quotidiane.
Possibili rischi postoperatori sono infezioni ed emorragie, comunque rari, così come i traumi alla vescica.
Più frequente è la comparsa di dolori pelvici dovuti alla formazione d’aderenze.

L’embolizzazione arteriosa
L’embolizzazione dei fibromi è un’alternativa all’isterectomia per quelle donne che vogliono conservare l’utero, sia perché, essendo ancora giovani, non vogliono precludersi la possibilità di una gravidanza, sia perché non vogliono perdere quella che considerano parte della loro identità di donna.
E’ indicata anche in caso di recidive e quando la donna presenta fattori di rischio per le altre tecniche chirurgiche.
Non è indicata nei fibromi peduncolati e in quelli particolarmente voluminosi (15 cm).
Si tratta, comunque, di un intervento praticato in pochi centri specialistici e non ancora d’utilizzo routinario (spesso non è mutuabile e il costo medio si aggira sui 5000-6000 Euro)
Come si svolge?
L’intervento prevede l’inserimento di un microcatetere nella vena femorale fino ad arrivare all’arteria uterina.
Quindi si iniettano microparticelle che occludono il vaso che nutre il fibroma, in pratica si interrompe il flusso di sangue che nutre il fibroma.
L’intervento, eseguito in anestesia, locale dura 30-60 minuti.
Il postoperatorio
Dopo l’intervento può comparire un certo dolore pelvico: in caso di fibromi di 6-8 cm il dolore compare subito e persiste 12-18 ore, in caso di fibromi di 10-12 cm, può manifestarsi dopo 4-5 giorni.
La degenza ospedaliera dura un paio di giorni.
In genere, l’efficacia sull’emorragia uterina è immediata, mentre la riduzione volumetrica del fibroma si evidenzia dopo 4-6 mesi.
Secondo alcuni studi questo intervento non compromette una futura gravidanza.

Quando serve l’isterectomia?
Se la donna ha concluso il proprio periodo di vita riproduttivo, presenta sintomi particolarmente seri, e i fibromi sono in grande quantità, voluminosi e recidivanti (si sono sviluppati anche in seguito a una precedente asportazione), si può ricorrere all’asportazione dell’utero, a patto, però, che la donna stessa non tenga fortemente al mantenimento dello stesso.

Cosa accade quando i fibromi si formano altrove?
Per quanto siano rari, vale la pena fare un accenno a quei fibromi che interessano altri organi dell’apparato genitale femminile.
*I fibromi della vulva e della vagina sono generalmente asintomatici, possono provocare dolore se raggiungono i 5-6 cm, perciò vanno asportati chirurgicamente.
Si tratta, comunque, di lesioni benigne.
*I fibromi all’ovaio, invece, sono estremamente rari.

Esistono metodi di prevenzione?
Non è possibile agire preventivamente per evitare la comparsa di fibromi. Però, visto anche il ruolo che possono giocare nella fertilità, è fondamentale sottoporsi a controlli ginecologici periodici (almeno annuali).

Sono in gravidanza è mi stato diagnosticato un fibroma cosa comporta?
L’associazione di fibroma e gravidanza non è molto frequente, dato che i fibromi sono più frequenti intorno ai 40 anni di età.
Gli effetti del fibroma in gravidanza possono essere variabili, soprattutto secondo la sede del fibroma.
I fibromi sottosierosi difficilmente creano problemi alla gravidanza, quelli intramurali p contrattilità dell’utero, con possibile minaccia di parto pre-termine o anomale contrazioni in travaglio o dopo il parto, in questo caso un utero che non si contrae in maniera efficace può sanguinare in maniera abnorme.
I fibromi sottomucosi possono portare all’aborto.
I fibromi localizzati in prossimità del collo venendosi a trovare davanti alla testa fetale, possono ostacolare il parto per via vaginale, oltre che interferire con la dilatazione del collo dell’utero, rendendo così necessario l’espletamento del parto mediante taglio cesareo.
I fibromi possono andare in contro a delle variazioni per effetto della gravidanza: può aumentare di volume ed inoltre può causare alterazioni della circolazione nel suo contesto con possibile infarcimento emorragico, la qual cosa crea una sintomatologia dolorosa acuta.
In gravidanza non si interviene chirurgicamente dato il pericolo di emorragie , solo in rari casi di complicazioni acute ( necrosi o torsione) con grave sintomatologia può essere necessario ricorrere alla chirurgia.
Abitualmente si raccomanda una terapia conservativa, con riposo e farmaci che riducono la contrattilità dell’utero per favorire l’evoluzione della gravidanza.

da ricordare
Con controlli periodici dal ginecologo si può individuare facilmente la presenza di fibromi

Endometrio: tessuto mucoso che riveste internamente la cavità dell’utero
Estrogeni: ormoni sessuali femminili prodotti dall’ovaio
Ovaio: ghiandola genitale femminile che produce le cellule uovo e gli ormoni sessuali femminili
Peritoneo: membrana sierosa che riveste le pareti interne dell’addome e avvolge quasi tutti gli organi addominali
Tuba di Falloppio: canale che collega le ovaie all’utero, è la sede in cui avviene la fecondazione
Vulva: insieme degli organi genitali femminili esterni

Estratto da: Viversani & belli, numero 51 del 17 dicembre 2004

Oncologia

Cancro della cervice

 

Di cosa si tratta?
Con il passare del tempo le patologie della cervice possono tramutarsi in un cancro.
Il cancro che si è diffuso al di sotto dello strato superiore della cervice o ad altre parti del corpo viene detto invasivo.
Il cancro insorge quando le cellule crescono fuori controllo e non possono più eseguire le normali funzioni.
Solo le cellule maligne si diffondono, muovendosi nel corpo attraverso i vasi sanguigni e linfatici o infiltrando direttamente il tessuto adiacente alla cervice.
Se vengono trovate delle cellule cancerose prima che la neoplasia sia diffusa, è più probabile che il trattamento sia efficace.
Poiché il cancro alla cervice si sviluppa dopo diversi anni dalla comparsa di cellule anormali, questo tumore tende a colpire le donne tra i 35 e i 50 anni.

Quali sono i fattori di rischio del cancro alla cervice?
Potrete essere a rischio se:
– Avete avuto dei condilomi genitali
– Avete più di un partner sessuale ( o un partner maschile che ha più di una partner)
– Avete avuto il primo rapporto sessuale in giovane età
– Fumate

Quali possono essere i sintomi?
Nei casi di cancro della cervice spesso non è presente alcun sintomo; quando questi compaiono, il primo segno potrebbe essere un sanguinamento anomalo, uno stillicidio ematico intermestruale o perdite dalla vagina. Con un cancro avanzato, potrebbe essere presente dolore, problemi urinari e gonfiore alle gambe.

Cos’è lo stadio di un cancro?
La dimensione e la diffusione del cancro.
Gli stadi vanno da I al IV; lo stadio I è il più precoce e viene trattato più facilmente, lo stadio IV è quello più avanzato e significa che il cancro si è diffuso in altre parti del corpo.
Gli stadi iniziali del cancro hanno una maggiore probabilità che il trattamento sia efficace.

Cancro della mammella

Il cancro alla mammella è la causa principale di morte di cancro nelle donne di età compresa tra i 35 e 50 anni.
Se un cancro alla mammella viene trattato e diagnosticato precocemente, la maggior parte delle donne possono guarire; questo è il principale motivo per cui sono necessari l’autopalpazione della mammella, la mammografia e i controlli.

Quali sono i fattori di rischio
Esistono molti fattori che possono influenzare il rischio di carcinoma alla mammella:
– Un cancro alla mammella in un altro familiare, specialmente la madre, la figlia, la sorella
– L’età avanzata
– Nessuna gravidanza o una gravidanza in età avanzata
– Il menarca precoce
– La menopausa tardiva
– L’obesità, specialmente nelle donne anziane

I fattori che possono diminuire il rischio di cancro della mammella comprendono:
– Una gravidanza in giovane età
– L’asportazione delle ovaie prima dei 40 anni
– La menopausa precoce (prima dei 50 anni)

 

I contraccettivi e la terapia ormonale sostitutiva influiscono negativamente sul carcinoma della mammella?
Non sembra che i contraccettivi orali aumentino il rischio di carcinoma della mammella nella maggior parte delle donne e sembra che i vantaggi della terapia ormonale sostitutiva, quando assunta in dosi moderate per sostituire gli ormoni che non vengono più prodotti dopo la menopausa, superino ampiamente i rischi.

Cancro dell’endometrio
Il cancro dell’endometrio, il rivestimento della cavità uterina, si verifica più frequentemente nelle donne di età compresa tra i 60 ed i 75 anni, sebbene possa anche insorgere in altre età.

Quali sono i sintomi?
I segni premonitori del cancro dell’endometrio sono un sanguinamento anomalo o le perdite intermestruali, un sanguinamento prolungato o cospicuo durante le mestruazioni o soprattutto ogni perdita di sangue dai genitali dopo la menopausa.

Chi è più a rischio?
Il rischio è maggiore se:
– Avete una storia di mestruazione irregolari
– Avete avuto il menarca prima dei 12 anni
– Avete avuto problemi di fertilità
– Avete avuto una menopausa tardiva
– Siete obese
– Avete il diabete
– Avete la pressione sanguigna elevata

Qual è l’incidenza dei contraccettivi e della terapia sostitutiva?
Il cancro dell’endometrio è più comune nelle donne che seguono la terapia estrogenico senza l’associazione di un progestinico dopo la menopausa, le donne che assumono la pillola anticoncezionale sembrano avere un rischio minore.

Quali sono gli esami diagnostici?
Per diagnosticare il cancro dell’endometrio si possono eseguire alcuni esami;
– Una biopsia endometriale
– Una ecografia
– Una revisione strumentale della cavità uterina
– Una isteroscopia
Se viene diagnosticato il cancro dell’endometrio, deve essere eseguito un intervento chirurgico per decidere lostadio della malattia ed il tipo di trattamento.

Come si cura?
Per trattare il cancro all’endometrio, la maggior parte delle pazienti viene sottoposto ad iserectomia( asportazione dell’utero) ed ovaro-salpingectomia (asportazione delle ovaie e delle tube di Falloppio.
Il tessuto linfodenale nella regione pelvica può essere esaminato per scoprire se il cancro si è diffuso.
Alcuni casi di cancro all’endometrio possono richiedere anche la radioterapia dopo l’intervento chirurgico.

Cancro dell’ovaio

Il cancro dell’ovaio è una malattia che interessa una od entrambe le ovaie, due organi posti sui lati dell’utero.
Se il cancro dell’ovaio viene diagnosticato e trattato precocemente, la percentuale di guarigione è elevata. Le pazienti con un cancro che non si è diffuso al di fuori dell’ovaio hanno l’80- 95% di probabilità di sopravvivenza a 5 anni dopo il trattamento. Sfortunatamente il cancro delle ovaie spesso non ha sintomi negli stadi precoc; di conseguenza, spesso viene diagnosticato negli stadi più avanzati.

Cos’è il cancro dell’ovaio?
Le cellule normali che costituiscono le cellule dell’organismo crescono, sicono regol;armente.
Talvolta, tuttavia, le cellule si sviluppano in maniera anomala e iniziano a crescere fuori dal controllo; quando ciò accade, viene prodotto del tessuto in eccesso ed iniziano a formarsi le neoformazioni o i tumori.

Esistono tre di cancro dell’ovaio:
– Epiteliali
– Tumori a cellule germinali
– Tumori stromali- dei cordoni sessuali

I cancri epiteliali sono i più comuni; circa il 90% di tutti i cancri ovarici originano dalle cellule epiteliali che rivestono la superficie delle ovaie.
La maggior parte delle donne affette da un cancro ovarico epiteliale ha un età superiore ai 40 anni.
Circa il 10% dei tumori maligni dell’ovaio è rappresentato dai tumori a cellule germinali, il resto sono tumori stromali, dei cordoni sessuali, Entrambi i tipi tendono ad insorgere in donne di età inferiore ai 40 anni.
Esistono buone probabilità che possono essere trattati con successo.

Chi è a rischio?
Le donne di qualsiasi età possono avere un cancro dell’ovaio, ma il rischio aumenta con l’età.
Insorge più frequentemente nelle donne che hanno una età compresa tra i 50 ed i 75 anni; è meno diffuso nelle donne di età inferiore ai 40 anni ed è più comune nelle donne bianche.
Le donne che hanno avuto figli sono meno esposte al rischio di cancro dell’ovaio; anche quelle che hanno fatto uso della pillola anticoncezionale e che la stanno utilizzando hanno meno probabilità di essere affette.

Quali sono i sintomi?
Il cancro dell’ovaio in genere non ha nessun sintomo nelle sue fasi precoci; esistono pochi sintomi della malattia e quando ci sono potrebbero essere lievi e difficili da diagnosticare.

I segni premonitori sono:
– un senso di fastidio nella regione pelvica
– dispepsia, gas e meteorismo ispegabili
– sanguinamento anomalo
– dolore e gonfiore addominale
– perdita di appetito

Qual è il trattamento?
Se si suppone che una donna sia affetta da cancro dell’ovaio, è necessario un intervento chirurgico.
La malattia viene studiata in seguito all’intervento, il trattamento è basto sullo stadio e sulla rapidità di progressione.
Anche l’età, lostato di salute ed i desideri della paziente vengono presi in considerazione nel pianificare il trattamento.
L’intervento chirurgico per la magggior parte delle pazienti consiste nell’asportazione dell’utero (isterectomia), delle ovaie e delle tube di Falloppio.
Le giovani donne potrebbero avere un tumore iniziale solo ad un ovaio; in tal caso il chirurgo asporterà solo quello.
L’intervento chirurgico spesso viene seguito dalla chemioterapia o dalla radioterapia.

Cancro dell’utero

Il cancro dell’utero nella maggior parte dei casi colpisce il rivestimento della cavità uterina (endometrio). Se viene diagnosticato e trattato precocemente, la % di guarigione è molto alta; tanto più è avanzata la malattia, tanto minore è la % di successo. La maggior parte dei tipi di cancro all’utero sono rappresentati dagli adenocarcinomi, a partenza dalle cellule endometriali. I sarcomi rappresentano un altro tipo di cancro all’utero; prendono origine dal tessuto muscolare o da altri tessuti dell’utero, si tratta comunque di neoplasie rare.

Chi è a rischio?
Il cancro dell’utero è raro nelle donne di età inferiore ai 40 anni; insorge più frequentemente nelle donne di età compresa tra i 60 e i 75 anni.

Le donne sono ad un rischio più alto di cancro all’utero se:
– Sono obese
– Non ovulano regolarmente e spesso saltano le mestruazioni
– Hanno una menopausa tardiva
– Hanno la sindrome dell’ovaio policistico
– Hanno un iperplasia endometriale
– Hanno un cancro della mammella, dell’ovaio o del colon
– Hanno un familiare stretto con cancro all’utero

 

Qual è l’incidenza dell’uso di contraccettivi o della terapia sostitutiva?
Alcune donne assumono estrogeni dopo la menopausa per sostituire gli ormoni che non vengono più prodotti dalle ovaie; esse potrebbero essere a rischio di cancro all’utero; se gli estrogeni sono associati ad un altro ormone – progesterone- il rischio di cancro dell’utero è ridotto.
Il tipo più comune di anticoncezionale è costituito dall’associazione di estrogeni con un progestinico, le donne che hanno usato queste pillole hanno un rischio più basso di cancro all’utero; questa diminuzione del rischio persiste per almeno 10 anni dopo che la donna sospende l’assunzione della pillola.

Anche se una donna ha alcuni o tutti i fattori di rischi qui elencati, potrebbe non avere mai un cancro all’utero, ma le donne a rischio dovrebbero essere a conoscenza dei sintomi di tale neoplasia e quindi sottoporsi a controlli di routine che comprendano la visita ginecologica.

 

Quali sono i sintomi più frequenti?
I sintomi principali di cancro all’utero sono il sanguinamento anomalo, lo spotting o le perdite vaginali, che si presentano saltuariamente o continuamente. Un sanguinamento anomalo potrebbe essere preceduto da una perdita vaginale acquosa maleodorante; tale perdita potrebbe essere il primo segno di un problema. Fatta eccezione dei casi in cui viene assunta una terapia ormonale combinata, qualsiasi sanguinameto o spotting dopo la menopausa non è normale e deve essere subito valutato.

Qual è il trattamento terapeutico?
Se viene diagnosticato un cancro dell’utero, l’intervento chirurgico preciserà lo stadio della malattia ed il tipo di trattamento.
Circa il 75% delle donne con un cancro dell’utero hanno una malattia allo stadi I, di queste donne l’85-90% non avrà segni di cancro per 5 o più anni dopo il trattamento.
Le possibilità di guarigione diminuiscono quando il cancro è ad uno stadio più avanzato.
Per trattare il cancro dell’utero la maggior parte delle pazienti vengono sottoposte sia ad isterectomia (asportazione dell’utero) che ad ovaro-salpingectomia (asportazione delle ovaie e delle tube di Falloppio; il tessuto prelevato dai linfonodi nella regione pelvica viene esaminato per scoprire se il cancro si è diffuso.
Alcuni casi di cancro dell’utero richiedono la radioterapia dopo la terapia chirurgica.

PREVENZIONE

Esistono alcune precauzioni per abbassare il rischio di cancro dell’utero e migliorare la possibilità di diagnosi precoce:
– Riferire subito al medico qualsiasi sanguinamento anomalo vaginale, la maggior parte dei sanguinamenti non è determinata dal cancro
– Eseguire una visita ginecologica annualmente
– Mangiare alimenti a basso contenuto di grassi e di colesterolo e ricche di fibre.
Questi comprendono la frutta, le verdure, pane e cereali integrali.
– Mantenere un normale peso corporeo

 

Cancro della vagina

Il cancro della vagina è raro; questo tumore maligno insorge più frequentemente nelle donne anziane.
Un comune segno premonitore è il sanguinamento dopo un rapporto sessuale.
Le donne che fumano o che sono ad alto rischio per il cancro della cervice spesso sono ad alto rischio per il cancro della vagina. Il cancro della vagina può essere diagnosticato durante una visita ginecologica o con un pap-test. Se viene diagnosticato precocemente, il cancro della vagina può essere trattato con successo.

Cancro della vulva

Il cancro invasivo della vulva è più comune nelle donne di età superiore a 60 anni, sebbene stia diventando più frequente nelle donne più giovani.
Fattori di rischio sono il fumo e le malattie sessualmente trasmesse.
Insorge più frequentemente nelle aree della vulva dove è presente una infiammazione cronica o una neoplasia intrapiteliale della vulva.
I sintomi comprendono prurito, malessere ed un sanguinamento anomalo.
Talvolta è presente un nodulo od una lesione e l’ingressamento dei linfonodi inguinali.
Questo cancro viene diagnosticato con una biopsia, l’intervento chirurgico è solitamente necessario per asportare tutto il tessuto canceroso; per trattare questo tumore maligno viene asportato anche del normale tessuto circostante.
Nella maggior parte dei casi, viene anche asportato il tessuto linfonodale della regione inguinale.
Anche le radiazioni (radioterapia) e la chemioterapia (trattamento farmacologico) potrebbero essere utilizzati allo stesso tempo.

Quali sono le differenze tra menopausa e climaterio?
Con il termine menopausa si intende l’ultima mestruazione, evento che segna il termine del periodo fertile della vita della donna.
La menopausa fa seguito alla cessazione della produzione ormonale dovuta alla fine della funzione ovarica, che risulta geneticamente predeterminata.
Questo processo si completa di solito intorno ai 50 anni.
Tuttavia il termine menopausa viene usato impropriamente quale sintomo di climaterio , che invece comprende il periodo di vita che precede (climaterio premenopausale) e che segue (climaterio postmenopausale) la menopausa stessa.
Il climaterio premenopausale si sviluppa in un periodo di tempo molto variabile in cui si verificano le modificazioni endocrine che portano alla menopausa.
Il climaterio postmenopausale è quel periodo, circa 10 anni, che segue la menopausa e che termina con l’inizio della senilità.
All’interno del climaterio si può individuare un periodo di tempo che si definisce perimenopausa, identificabile nei mesi che immediatamente precedono e seguono la menopausa, ed in cui si verificano le modificazioni cliniche più importanti e caratteristiche del climaterio.

La menopausa incide sulla qualità di vita della donna?
I mutamenti ormonali sono quelli di maggior significato, ma nel determinare la sindrome climaterica e il peso sulla qualità di vita non devono essere trascurate la storia clinica della paziente, le esperienze personali e le implicazioni personali e sociali che vengono attribuite al fenomeno. La menopausa è una fase di passaggio, un evento biologico, che ha luogo in donne che stanno invecchiando in un loro particolare contesto socio-culturale, fatto di particolari valori e convinzioni.

In media a che età si entra in menopausa?
L’età media al momento della menopausa è di 51 anni e poiché nel mondo occidentale l’aspettativa di vita per le donne ha superato gli 80 anni, ne risulta che attualmente una donna vive un terzo della vita in postmenopausa.
Soltanto pochi decenni fa, l’aspettativa di vita di una donna dopo la menopausa era così limitata che i problemi connessi alla carenza ormonale non erano socialmente rilevanti, attualmente oltre un terzo delle donne viventi è in postmenopausa e nel futuro un numero sempre maggiore di donne arriverà felice alla maturità così che una parte sempre maggiore della vita si svolgerà dopo la menopausa.
Ne consegue che il miglioramento della qualità della vita e la prevenzione delle patologie in età postmenopausale assumono una notevole rilevanza sociale.

Il numero di gravidanze o l’uso di contraccettivi orali possono modificare l’età di insorgenza della menopausa?
La menopausa dipende dall’esaurimento del patrimonio follicolare dell’ovaio perduto per i processi di atresia (morte follicolare). Durante tutta la vita riproduttiva solo una piccola parte dei follicoli partecipa ai processi di reclutamento e maturazione, che precedono l’ovulazione, mentre la maggior parte di essi va incontro ad atresia. E’ per questo che eventuali periodi di amenorrea, l’uso dei contraccettivi orali o il numero delle gravidanze non hanno importanza nel determinare l’epoca di comparsa della menopausa. Tra i fattori chiamati in causa nel condizionare l’età dell’ultima mestruazione, il più importante sembra essere la familiarità, esistendo una certa correlazione tra l’età di insorgenza della menopausa nelle parenti più prossime.

Quali modificazioni ormonali insorgono durante il climaterio postmenopausale?
La menopausa è definibile come l’ultimo evento di una serie di modificazioni ormonali che cominciano negli anni precedenti. Tra i 40 e i 50 anni avvengono progressive modificazioni della secrezione ormonale dell’ovaio, conseguenti ad una inadeguata maturazione follicolare. In premenopausa si verifica una progressiva diminuzione della secrezione ovarica di estradiolo e progesterone cui corrisponde un aumento di FSH circolante, espressione di una diminuita sensibilità ovarica alla stimolazione gonadotropinica.

Quali sono le conseguenze della menopausa?
La menopausa è una parte naturale dell’invecchiamento. la carenza di estrogeni (i principali ormoni ovarici femminili) cui la donna è esposta dopo la menopausa è responsabile di modificazioni dell’organismo femminile che a volte possono manifestarsi con disturbi mal sopportabili (vampate o sindrome vasomotoria, sudorazioni, insonnia, secchezza vaginale, difficoltà nei rapporti sessuali, cistiti, incontinenza urinaria, invecchiamento cutaneo, ecc.) o con vere e proprie malattie (osteoporosi e malattie cardiovascolari).

Alcuni di questi disturbi (come le vampate di calore) sono precoci, altri silenti e tardivi (come le fratture in caso di osteoporosi); in ogni caso la qualità di vita della donna ne viene alterata.

Che cos’è la sindrome vasomotoria?
Consiste nelle così dette vampate di calore, che si presentano in circa il 75-80% delle donne in perimenopausa. Una vampata di calore è una improvvisa sensazione di calore che compare a livello della parte superiore del corpo e della faccia, possono comparire poche volte al mese o numerose volte al giorno, a seconda della donna. Le vampate di calore possono comparire in qualsiasi momento, di giorno e di notte, ma non sono dannose.

Come si manifestano i disturbi del sonno?
Si può avere insonnia (difficoltà ad addormentarsi) o ci si potrebbe svegliare prima del solito. Le sudorazioni notturne possono interrompere il sonno.
Quando i normali ritmi del sonno vengono interrotti, l’umore, la salute e la capacità di una donna potrebbero essere alterati; essa potrebbe avere problemi di concentrazione e diventare depressa.

Quali sono i sintomi legati all’atrofia genitale, urinaria e cutanea?
Questi sintomi interessano circa il 10-20% delle donne entro 3 anni dalla menopausa e il 40-50% delle donne entro 5-8 anni dalla menopausa.
Si distinguono sintomi legati all’atrofia genitale, urinaria e cutanea.
I primi possono essere secchezza vaginale, infezioni vaginali ricorrenti e rapporti sessuali dolorosi.
Per quanto riguarda i rapporti sessuali, può nascere un circolo vizioso: qualora la secchezza vaginale causi rapporti dolorosi, si viene a creare una perdita di interesse sessuale con riduzione della libido e del numero dei rapporti stessi, che a sua volta è all’origine di una maggiore atrofia genitale e di maggior disagio.
I disturbi urinari sono: urgenza minzionale, maggiore frequenza minzionale diurna e notturna, cistiti ricorrenti, difficoltà allo svuotamento vescicale e incontinenza urinaria.
Quest’ultima in particolare è molto frequente: si calcola che il 25% delle donne di età superiore a 50 anni lamenta incontinenza urinaria.
La forma più comune è la fuga di urina dopo intenso stimolo minzionale, mentre la tipica forma femminile è la perdita di urina durante uno sforzo, per esempio un colpo di tosse o uno starnuto.
I disturbi dell’apparato cutaneo sono l’assottigliamento e la secchezza della pelle, una diffusa sensazione di formicolio, prurito, rughe e un invecchiamento cutaneo generalizzato.
Altro disturbo frequente in menopausa è il prolasso utero-vaginale.

La privazione degli estrogeni può causare malattie cardiovascolari ed osteoporosi?
Le conseguenze a lungo termine della privazione di estrogeni si presentano sotto forma di malattie cardiovascolari e osteoporosi.
Nonostante insorgano dopo molti anni dalla menopausa (10-12 anni) e fino ad allora non diano nessun disturbo, sono da considerare a rischio tutte le donne in postmenopausa, in particolare quelle in menopausa precoce.
Le malattie cardiovascolari (infarto miocardico, angina pectoris, ictus cerebrale) in Italia, come nel resto dei Paesi occidentali costituiscono la causa più frequente di mortalità in perimenopausa (50-59 anni).
Circa il 50% delle donne muore per malattie cardiovascolari.
Qualunque sia l’età della donna (compresa nella fascia che va dai 40 ai 54 anni), l’incidenza di malattie cardiovascolari è sempre maggiore in condizioni di postmenopausa.
Infatti, in menopausa la mancanza di estrogeni causa l’aumento della mortalità cardiovascolare attraverso due meccanismi: 1) la modificazione del profilo lipidico, cioè l’aumento dei trigliceridi e del colesterolo totale (soprattutto delle LDL) e la riduzione delle HDL, il che favorisce l’alterosclerosi; 2) la riduzione del flusso sanguigno locale, con influenze negative sulla pressione arteriosa.
L’osteoporosi consiste nella perdita della massa ossea con conseguente fragilità ossea e maggior rischio di fratture per traumi minimi dell’apparato scheletrico.
A 75 anni la donna ha già perso il 50% della sua massa ossea.
All’eta di 80 anni circa, il 40-50% delle donne ha sviluppato osteoporosi e ha subito almeno una frattura.
Le sedi più frequenti sono il polso (a 75 anni il 15% delle donne avrà subito una frattura del polso), le vertebre toraciche e lombari (a 75 anni il 25% delle donne ha un’evidenza di frattura) e l’anca (a 80 anni il 12,5% delle donne avrà riportato una frattura del collo del femore).
In menopausa la carenza di estrogeni causa l’osteoporosi soprattutto attraverso un aumento del riassorbimento osseo; inoltre si verifica una diminuzione della formazione ossea, una riduzione dell’assorbimento di calcio nell’intestino e un aumento della perdita di calcio renale.

La menopausa può essere considerata una endocrinopatia?
Dire se la menopausa rappresenti o meno una malattia endocrina non è facile: la questione è ancora aperta. Di certo si può affermare una cosa: la menopausa, che rientra nella fisiologia umana, in quanto, avviene in tutti i soggetti di sesso femminile, in tempi e modi similari, è ormai riconosciuta come fattore di rischio per malattie cardiovascolari, osteoarticolari e, forse, cerebrali. E’ evidente quindi che non si può liquidare la questione riducendo la menopausa a un periodo di disturbi più o meno sopportabili; essa è senz’altro l’inizio di nuovi processi biologici naturali, ma negativi, che interessano diverse funzioni dell’organismo, con serie conseguenze per la salute e la qualità della vita della donna.

Come affrontare la menopausa?
In menopausa è necessario controllare il proprio stile di vita.
Per questo rivestono notevole interesse le abitudini comportamentali: una dieta equilibrata e un’attività fisica regolare svolgono un ruolo preventivo nei confronti dei disturbi più frequenti della menopausa.
Inoltre anche la cura del proprio aspetto aiuta a migliorare il proprio benessere fisico e psichico.
Dopo la menopausa diventa importante che alimentazione e movimento si integrino con le normali attività quotidiane, al fine di mantenere il peso forma e abbattere i fattori di rischio per le malattie osteo-articolari e cardio-vascolari.

L’alimentazione dovrà essere varia, secondo la formula “di tutto, di meno”.
Il calcio, uno degli elementi più importanti per il benessere delle ossa, deve essere assunto in dose adeguata. La fonte principale è costituita dal cibo: latte e suoi derivati (yogurt magro, latte scremato, formaggi light), ma anche alcuni ortaggi (carciofi e spinaci) e frutti (agrumi).
In caso di un elevato livello di colesterolo e di trigliceridi è indicata una dieta povera di grassi.
Per chi soffre d’ipertensione arteriosa è utile la riduzione del consumo di sale da cucina o la scelta di uno a basso contenuto di sodio (sale dietetico). Ovviamente è sempre consigliato ridurre il consumo d’alcool, caffeina e sospendere il fumo.

L’attività fisica dovrà essere incrementata sia nell’attività quotidiana sia praticando con regolarità qualche forma di ginnastica.
L’attività fisica è importante nella prevenzione dell’osteoporosi (poiché incrementa la massa ossea) e rinforza i muscoli e le articolazioni.
Il movimento aiuta a scaricare lo stress, a consumare le calorie in eccesso, a combattere il sovrappeso. Inoltre migliora la circolazione sanguigna e favorisce il riequilibrio del rapporto tra colesterolo buono e colesterolo cattivo.
L’esercizio fisico moderato, infine, migliora l’umore e contribuisce a ridurre l’insorgenza delle vampate e delle sudorazioni.
Tali obiettivi saranno ottenuti con esercizi aerobici a basso impatto, esercizi a corpo libero e posturali, stretching; prima di iniziare un’attività fisica è comunque meglio consultare un fisioterapista per stabilire insieme un programma di attività idoneo.

La pelle ha un ruolo insostituibile per l’estetica della donna.
Le modificazioni che il corpo subisce in menopausa possono minare l’immagine che la donna ha di sé, con importanti riflessi sulla qualità della sua vita.
Per questo viso e corpo hanno bisogno di attenzioni particolari per mantenere la pelle in condizioni ottimali: è opportuno per esempio neutralizzare i fattori che ne favoriscono l’invecchiamento (come l’esposizione al sole e la carenza di estrogeni, tipica della menopausa); e proteggere e riparare la pelle, utilizzando per es. gli antiossidanti, il collagene, le creme idratanti, i saponi emollienti, ecc.

Quali sono i trattamenti per la menopausa?
Un trattamento dei principali disturbi della menopausa può essere rappresentato dalla terapia ormonale sostitutiva.
Questa consiste nella somministrazione d’estrogeni e progestinici sotto forma di compresse, cerotti o gel.
Indubbiamente rappresenta il trattamento più efficace per alleviare i disturbi e contemporaneamente prevenire le patologie associate alla menopausa, in particolare l’osteoporosi e le malattie cardiovascolari.
La terapia dovrebbe essere iniziata al declino della funzione ovarica; molti effetti della carenza estrogenica sono più rapidi nei primi anni di postmenopausa.
L’ obiettivo della terapia è la prevenzione di patologie che intervengono nell’ età postmenopausale.
Si ritiene che una durata utile di terapia sia di almeno 5 anni.

Le terapie per la menopausa sono tutte uguali?
NO, esistono due schemi di terapia:
Sequenziale (Estrogeno + Progesterone)
– ciclica
– continua
Solo Estrogeno (nelle donne senza utero per pregressa isterectomia).

Le vie di somministrazione sono:
Via transdermica (cerotto – gel),
Via orale,
Via vaginale.
Quali sono le controindicazioni assolute?
Severe epatopatie in atto,
Trombosi o embolia in atto,
Adenocarcinoma dell’ endometrio,
Carcinoma endometrioide dell’ ovaio,
Carcinoma della mammella.
Alcune patologie non sono più ritenute delle controindicazioni, ma delle indicazioni:
pregresso infarto miocardico: in questo caso la terapia ormonale è utile per la prevenzione delle recidive,
ipertensione arteriosa:la terapia ormonale favorisce la diminuzione dei valori pressori

Quali sono le controindicazioni relative?
Calcolosi della colecisti:in questo caso è indicata la via transdermica,
Ipertrigliceridemia: indicata la via transdermica,
Fibromi uterini: in presenza di fibromi è da consigliare una terapia con Estrogeni a basse dosi

Quali controlli Medici ?
Controllo ginecologico e internistico,
Esami di laboratorio,
Esame del seno e Mammografia,
Ecografia pelvica (per valutazione della morfologia utero-ovarica ed in particolare dello spessore endometriale),
Densitometria ossea (M.O.C. o Mineralometria Ossea Computerizzata) per valutare il grado di mineralizzazione ossea e quindi diagnosticare precocemente un’ eventuale osteoporosi.

Va ricordato che nella donna in menopausa questi controlli sono comunque consigliati, indipendentemente dalla terapia.

Quali sono i benefici della terapia sostitutiva ?
La Terapia Ormonale Sostitutiva comporta i seguenti benefici:
riduce nettamente i disturbi climaterici,
migliora il trofismo e l’ elasticità della pelle,
riduce il rischio cardiovascolare (cardiopatia ischemica),
previene l’ osteoporosi, riducendo il rischio di fratture,
migliora il trofismo dell’ apparato genito-urinario.

In presenza di varici la terapia sostitutiva è controindicata?
A molte donne in menopausa viene prescritto un trattamento ormonale sostitutivo.
Spesso, a fronte di evidenti vantaggi clinici, queste donne iniziano a riferire disturbi tipici dell’insufficienza venosa (gonfiore, pesantezza, dolori alle gambe, ritenzione idrica, crampi, formicolio, prurito), specialmente in presenza di varici.
Occorre dire subito che la semplice presenza di vene varicose non controindica il trattamento ormonale sostitutivo; in questi casi, visto il dosaggio basso degli estrogeni, il rischio di complicazioni (flebiti, trombosi, embolie polmonari) è veramente trascurabile e in ogni modo legato alla presenza delle varici più che al trattamento ormonale sostitutivo.
Tuttavia in Medicina i fattori di rischio non si sommano, bensì si moltiplicano.
Quindi la presenza di vene varicose, pur non controindicando l’uso del trattamento ormonale, va eliminata per due motivi:
• in primo luogo perché le varici sono sempre fonte di potenziali pericoli di trombosi;
• secondariamente perché, se è vero che il trattamento ormonale non aumenta il rischio di trombosi, è anche vero che aumenta i fastidi e i sintomi dell‘insufficienza venosa degli arti inferiori, già sottoposti a dura prova dalle variazioni ormonali tipiche della sindrome menopausale.

Solo in taluni casi è assolutamente preferibile trattare le varici prima di procedere al trattamento ormonale sostitutivo: quando la storia clinica della paziente o la storia familiare presenta degli episodi di trombosi venosa, flebiti, ictus, infarti del miocardio in età relativamente giovane (sotto i 45 anni) o malattie immunologiche.
In tali casi occorre sospettare una TROMBOFILIA, vale a dire una tendenza del sangue a coagulare dentro i vasi per difetti congeniti di alcune proteine del sangue stesso.
In questi casi, prima di assumere il trattamento ormonale, occorre eseguire delle analisi specifiche (antitrombina, Pro-C-global, fibrinogeno, Lac, omocisteinemia) per scartare questa tendenza.
In caso di positività di tali esami occorre consultare l’Angiologo.
Un Angiologo andrà in ogni caso consultato in presenza di varici per trattare la patologia venosa, indipendentemente dal trattamento ormonale sostitutivo.

Le Terapie Chirurgiche

L’ISTEROSCOPIA DIAGNOSTICA E OPERATIVA

 

Che cos’è l’isteroscopia?
L’isteroscopia è una tecnica che permette di “vedere” all’interno della cavità uterina, attraverso uno strumento chiamato isteroscopio. Questo è un tubo rigido e sottile (diametro = 4-5 mm) dotato di fibre ottiche, attraverso le quali viaggia la luce, che viene introdotto all’interno dell’utero, attraverso la vagina. E’ possibile l’esecuzione di interventi chirurgici, utilizzando strumenti miniaturizzati, connessi all’isteroscopio.

Quando è indicata l’isteroscopia
L’isteroscopia diagnostica è indicata soprattutto in due casi: sanguinamento uterino anormale, soprattutto nel periodo perimenopausale, per evidenziarne la causa come iperplasia endometriale, polipo endometriale , mioma sottomucoso o carcinoma endometriale; infertilità, per la ricercarne la causa come aderenze intrauterine o malformazioni uterine.
Una biopsia dell’endometrio, in pratica un prelievo di una piccola parte di mucosa per l’esame istologico, è sempre indicata.
L’isteroscopia operatoria, invece, trova applicazione alla presenza di: aderenze intrauterine; malformazioni uterine, come il setto uterino; polipi endometriali; fibromi uterini sottomucosi; corpi estranei intrauterini, come la spirale il cui filamento sia risalito all’interno della cavità uterina; sanguinamenti uterini anomali resistenti alla terapia medica (in tal caso si esegue l’ablazione dell’endometrio).

Che cosa succede prima di sottoporsi all’isteroscopia?
L’isteroscopia diagnostica richiede una preparazione semplice (digiuno dalla mezzanotte del giorno precedente l’intervento). L’esame si può eseguire senza anestesia.
Nei casi di stenosi del canale cervicale è necessario ricorrere all’anestesia e alla dilatazione del canale cervicale stesso.
In caso di isteroscopia operatoria la preparazione richiede: digiuno dalla mezzanotte del giorno precedente l’intervento; clistere e tricotomia parziale.
Il giorno dell’intervento si effettua la profilassi antibiotica e la paziente è invitata a svuotare la vescica. L’anestesia è necessaria. In tal caso, la paziente deve aver eseguito le seguenti indagini: esami ematochimici, elettrocardiogramma e radiografia del torace (se età > 50 anni).

Che cosa succede durante l’isteroscopia?
L’isteroscopio viene introdotto, attraverso la vagina, nel canale cervicale fino ad arrivare alla cavità uterina, che viene distesa con un mezzo gassoso o liquido al fine di permetterne la visione: infatti, tale cavità è normalmente virtuale.
Nel caso di isteroscopia operatoria si possono introdurre strumenti miniaturizzati, come forbici o pinze, attraverso l’isteroscopio, oppure si utilizza il resettoscopio che permette di tagliare e coagulare mediante una sorgente di energia elettrica.
Al termine dell’intervento, l’isteroscopio è rimosso e il mezzo di distensione refluisce dalla cavità uterina che ritorna alle dimensioni iniziali.
Non sono necessari punti di sutura o medicazioni.
L’isteroscopia diagnostica dura pochi minuti, mentre quella operativa anche 30-60 minuti, secondo la complessità dell’intervento.

Che cosa succede dopo l’isteroscopia?
L’isteroscopia diagnostica non causa disturbi particolari e la paziente riprende rapidamente le proprie attività.
In alcuni casi può avvertire un lieve indolenzimento dell’addome e in altri un lieve dolore alla spalla, dovuto al passaggio del gas attraverso le tube.
Dopo l’isteroscopia operatoria alcuni malesseri sono invece usuali, anche se scompaiono in pochi giorni.
Può essere avvertito dolore alla spalla, alla schiena o all’addome, sempre da riferire al mezzo usato per distendere la cavità uterina. Può manifestarsi fastidio alla deglutizione a causa dell’intubazione tracheale eseguita per facilitare la respirazione e una certa difficoltà alla concentrazione nelle ore successive all’intervento a causa dell’anestesia (le attività che richiedono una particolare concentrazione, come guidare l’automobile, vanno evitate per 48 ore).
Per qualche giorno può persistere una piccola perdita di sangue dalla vagina.
Tutto ciò non deve destare preoccupazione.
La degenza postoperatoria è limitata a 1-2 giorni.
La sera dopo l’intervento la dieta è libera.
La convalescenza domiciliare è breve; i rapporti sessuali possono essere ripresi regolarmente dopo 2-3-giorni.
Il trattamento successivo all’isteroscopia varia da paziente a paziente.
In ogni caso, a distanza di un mese è richiesta una visita ginecologica, per valutare l’opportunità di trattamenti farmacologica o ulteriori interventi chirurgici.

Quando è controindicata l’isteroscopia?
Le controindicazioni assolute all’esecuzione dell’isteroscopia sono: la presenza di una gravidanza in atto; la presenza di uno stato infiammatorio, poiché l’esame potrebbe diffondere del processo infiammatorio stesso all’interno dell’apparato genitale.

Quali possibili rischi comporta l’isteroscopia?
L’isteroscopia diagnostica è quasi priva di rischi, quella operativa invece comporta i seguenti rischi: nausea e vomito per effetto dell’anestesia; piccoli ematomi in sede d’iniezione endovenosa per l’anestetico; perforazione dell’uteropossibile, ma infrequente; lesioni di organi addominali molto raramente; arresto cardiaco e/o edema polmonare, eventi rarissimi; sovraccarico cardio-circolatorio durante l’intervento può essere una complicanza collegata al liquido utilizzato per la distensione della cavità uterina, evento che può essere grave, ma raro (0,2% dei casi).

Quali vantaggi comporta l’isteroscopia?
L’isteroscopia presenta vantaggi indiscutibili, primo la visione diretta dell’interno della cavità uterina.
Quella operativa, inoltre, consente i seguenti vantaggi: non richiede l’apertura dell’addome e dell’utero, evento che riduce il trauma sugli organi pelvici e non lascia cicatrici interne o esterne; si riduce di conseguenza anche il rischio di infezioni dovute alla contaminazione con l’ambiente.
Globalmente la ripresa delle normali attività lavorative e sociali è anticipata rispetto ai tempi richiesti dagli interventi chirurgici tradizionali.

Quali sono le alternative proponibili alla paziente?
Le alternative all’isteroscopia diagnostica sono: l’ecografia pelvica, meglio transvaginale, per la diagnosi di fibroma uterino sottomucoso, polipo endometriale, iperplasia endometriale; l’isterosalpingografia, per la diagnosi di aderenze uterine o fibromi sottomucosi che deformino la cavità intrauterina.
Le alternative all’isteroscopia operativa sono i classici interventi laparotomici con apertura della parete addominale, che comportano tempi di ricovero più lunghi e una maggiore morbilità post-operatoria.

LA LAPAROSCOPIA GINECOLOGICA

Che cos’è la laparoscopia?
La laparoscopia è una tecnica che permette di “vedere” all’interno dell’addome, attraverso uno strumento chiamato laparoscopio. Questo è un tubo rigido e sottile dotato di fibre ottiche, attraverso le quali viaggia la luce, che viene introdotto nell’addome mediante una piccola incisione in prossimità dell’ombelico. Altre parti connesse al laparoscopio permettono di eseguire interventi chirurgici “a cielo coperto”.

Quando è indicata la laparoscopia?
La laparoscopia è consigliata come procedura diagnostica per capire se il dolore pelvico riferito dalla donna è conseguente a: endometriosi; malattia infiammatoria pelvica; gravidanza extrauterina.
La laparoscopia consente, inoltre, di definire se una tumescenza pelvica è una cisti liquida o solida connessa all’ovaio, oppure un fibroma o un mioma a carico dell’utero.
La laparoscopia permette tra l’altro di individuare un problema d’infertilità, per esempio la presenza di aderenze o di malformazioni dell’apparato genitale interno.
Inoltre, con il test cromatografico si verifica se le tube sono aperte o chiuse.
Tale test consiste nell’iniettare attraverso l’utero del colorante (blu di metilene) e, quindi, di osservare attraverso il laparoscopio il passaggio del colorante attraverso le tube e la sua fuoriuscita nella cavità addominale.

La laparoscopia è prevista come tecnica chirurgica in molte patologie: endometriosi, anche alla presenza di cisti di varie dimensioni; gravidanza extrauterina (vedi immagine), consentendo di conservare la tuba interessata con un buon ripristino della sua funzionalità; cisti ovariche, anche di notevoli dimensioni, infatti, prima sono aspirate, poi sezionate e quindi rimosse; fibromi uterini, soprattutto se sottosierosi e peduncolati; aderenze pelviche, con buoni risultati di liberare completamente la pelvi; incontinenza urinaria, che può essere corretta con varie tecniche laparoscopiche.
La sterilizzazione tubarica è un intervento eseguibile per via laparoscopica grazie all’applicazione di clips.

Che cosa succede prima di sottoporsi alla laparoscopia?
La laparoscopia richiede una preparazione particolare: digiuno dalla mezzanotte del giorno precedente l’intervento; clistere di pulizia intestinale; tricotomia parziale. Il giorno dell’intervento si esegue la profilassi antibiotica e la paziente è invitata a svuotare la vescica. L’anestesia è sempre necessaria per consentire un miglior rilassamento della paziente. Pertanto deve aver eseguito le seguenti indagini: esami ematochimici, elettrocardiogramma e radiografia del torace

Che cosa succede durante la laparoscopia?
L’intervento inizia con l’introduzione di un particolare strumento chiamato isteroiniettore nell’utero, al fine di mobilizzarlo. Quindi si pratica una piccola incisione a livello dell’ombelico, attraverso il quale con l’apposito ago di Verres è introdotto del gas nell’addome. Questo gas permette di separare gli organi pelvici tra loro e dalla parete addominale, consentendo un’adeguata visione. Successivamente attraverso l’incisione ombelicale è introdotto il laparoscopio. Eventualmente attraverso piccole incisioni nella parete bassa e laterale dell’addome s’introducono gli strumenti necessari per eseguire atti chirurgici.
Al termine il laparoscopio è rimosso; il gas esce dall’addome e l’isteroiniettore è allontanato. Viene applicato qualche punto sulle incisioni addominali e un piccolo bendaggio è posto a protezione delle ferite.
La laparoscopia diagnostica richiede 15-20 minuti, mentre la laparoscopia operativa può durare anche un’ora o più, secondo la complessità dell’intervento.

Che cosa succede dopo la laparoscopia?
Dopo la laparoscopia, la paziente può lamentare alcuni lievi disturbi, che in ogni modo scompaiono in pochi giorni. Può essere avvertito dolore alle spalle, alla schiena o all’addome: sensazione dovuta al gas utilizzato per distendere la cavità addominale. Può comparire nausea, in genere conseguenza del gas usato, della manipolazione delle anse intestinali, così come dell’anestesia. Può manifestarsi fastidio alla deglutizione a causa dell’intubazione tracheale eseguita al fine di facilitare la respirazione. In alcuni casi subentra una certa difficoltà di concentrazione nelle ore successive l’intervento a causa dell’anestesia (le attività che richiedono particolare concentrazione, come guidare l’automobile, devono essere evitate per 48 ore).
Può persistere per qualche giorno una piccola perdita di sangue dalla vagina. La cicatrizzazione delle ferite sull’addome richiede di solito 5-6 giorni.
La degenza post-operatoria è limitata a 1-2 giorni.
La sera dopo l’intervento, la dieta è libera. In pochi casi è necessario prolungare la degenza. Anche la convalescenza domiciliare è breve; i rapporti sessuali possono essere ripresi dopo 2-3 giorni dall’intervento.
Il trattamento successivo alla laparoscopia varia da paziente a paziente. In ogni caso, a distanza di un mese è richiesta una visita ginecologica, per valutare l’opportunità di trattamenti farmacologici o ulteriori interventi chirurgici.

Quando è controindicata la laparoscopia?
Le controindicazioni assolute all’esecuzione della laparoscopia sono la presenza di esiti di peritonite o comunque di processi aderenziali estesi, legati a patologia infiammatoria o a precedenti interventi chirurgici.
La laparoscopia non è sempre possibile quando la paziente è obesa.
In circa il 6% dei casi di obesità, infatti, è necessario convertire l’intervento laparoscopico in una tecnica tradizionale con laparotomia (=apertura dell’addome)

Quali possibili rischi comporta la laparoscopia?
La laparoscopia, come ogni tecnica chirurgica, non è priva di rischi. I principali rischi sono: la formazione di ematomi nella parete addominale; la costituzione di enfisema sottocutaneo; la lesione di anse intestinali, piuttosto rara; la lesione di grossi vasi, come la cava, l’aorta e l’arteria iliaca comune; l’arresto cardiaco o l’embolia gassosa, molto rari; infine i rischi anestesiologici da valutare caso per caso.

 

Quali vantaggi comporta la laparoscopia?
La laparoscopia presenta importanti vantaggi.
Il principale è la visione diretta degli organi addominali senza l’apertura dell’addome.
Questo riduce il trauma sugli organi pelvici e non rimangono evidenti cicatrici esterne.
Si riduce anche il rischio d’infezioni dovute alla contaminazione con l’ambiente.
Globalmente la ripresa delle normali attività lavorative e sociali è anticipata rispetto ai tempi richiesti dagli interventi chirurgici tradizionali: dopo un intervento con apertura dell’addome la permanenza in ospedale è di almeno 5 giorni rispetto ai 1-2 giorni della laparoscopia.

Quali sono le alternative proponibili alla paziente?
Le alternative alla laparoscopia diagnostica non sono valide. Nel caso della laparoscopia operativa, invece, le alternative sono rappresentate dagli interventi tradizionali effettuati con apertura della parete addominale.

L’ISTERECTOMIA

 

Che cos’è l’isterectomia?
L’isterectomia consiste nell’asportazione dell’utero. La vagina viene richiusa al fondo e mantiene una lunghezza normale.

Quali sono le indicazioni all’isterectomia?
L’isterectomia è indicata quando la patologia uterina o quella di strutture vicine (per es. le ovaie) non permette di eseguire interventi conservativi o quando la terapia medica non risulta più efficace.
L’isterectomia può essere eseguita attraverso due vie: quella addominale = laparoisterectomia o quella vaginale = colpoisterectomia.
La laparoisterectomia è utilizzata in caso di fibromi uterini voluminosi, endometriosi pelvica diffusa, malattia infiammatoria pelvica recidivante, carcinoma della portio e carcinoma dell’endometrio agli stadi iniziali.
La colpoisterectomia, invece, è eseguita in caso di fibroma uterino di piccole dimensioni con menometrorragie recidivanti, che non risponde alla terapia medica, prolasso uterino.
L’isterectomia vaginale presenta un rischio operatorio minore rispetto a quella addominale, una minore durata, una minore morbosità e una più rapida convalescenza. L’isterectomia vaginale, però, non è indicata in caso di utero voluminoso o fisso, di tumescenze pelviche sospette e quando è necessario esplorare gli organi addominali o eseguire interventi complementari.

Qual è la tecnica chirurgica dell’isterectomia?
L’intervento di laparoisterectomia richiede l’anestesia generale e dura circa 45-60 minuti.
La posizione della donna sul lettino operatorio è quella orizzontale.
L’incisione addominale della cute è di solito trasversale, perché offre oltre ai vantaggi estetici, un minor rischio di complicazioni della ferita, rispetto a quella longitudinale.
Si apre la cavità addominale procedendo a strati: sottocute, fasce, muscoli e peritoneo.
Successivamente si recidono i vari legamenti che fissano l’utero nella sua posizione e la parete vaginale. Quindi si asporta l’utero e si chiude il fondo vaginale. Infine si procede alla chiusura a strati dell’addome. Il catetere vescicale introdotto prima dell’intervento è rimosso dopo 24 ore dall’intervento. I punti cutanei, invece, sono rimossi in 5-6° giornata, quando la donna è dimessa.

L’intervento di colpoisterectomia può essere eseguito sia in anestesia generale sia in spinale, di solito richiede 30-40 minuti.
La donna è posta sul lettino della sala operatoria in posizione litotomica (gambe divaricate e estese verso l’alto).
L’intervento si esegue attraverso la vagina e inizia con un’incisione circolare sul collo dell’utero.
Successivamente si recidono i legamenti che fissano l’utero alle strutture adiacenti.
Si asporta l’utero e si chiude la cupola vaginale.
Concluso l’intervento si applica un catetere vescicale, da tenere 24 ore, e una garza vaginale da rimuovere dopo 12 ore. La dimissione avviene di solito in 4-5° giornata.

Quali sono le conseguenze dell’isterectomia?
L’isterectomia avrà come conseguenza l’impossibilità di future gravidanze, essendo l’utero il contenitore del feto e la sospensione definitiva delle mestruazioni, ma senza modificare l’equilibrio ormonale e la sessualità della donna.

Cosa accade dopo l’intervento?
La scelta dell’annessiectomia, cioè l’asportazione degli annessi (tuba e ovaio), sarà guidata dall’età della donna e dalla presenza o meno di patologie annessiali. In seguito all’asportazione delle ovaie si parla di menopausa chirurgica, in tal caso si potrà iniziare un trattamento ormonale sostitutivo per evitare i tipici disturbi della menopausa.

Quali sono i rischi dell’isterectomia?
I possibili rischi dell’isterectomia sono quelli tipici di ogni intervento chirurgico.
I rischi anestesiologici vanno valutati dall’anestesista in base alle condizioni di salute della donna.
Il rischio di emorragie è basso. Il rischio di infezioni è ridotto grazie alla profilassi con antibiotici.
Il rischio di tromboembolie si è ridotto in seguito all’introduzione della profilassi antitrombotica, inoltre è importante la mobilizzazione precoce, di solito 24 ore dopo l’intervento.
Le lesioni della vescica, dell’uretere o del retto sono evenienze molto rare.
Il prolasso della cupola vaginale è raro, ma più frequente nelle donne obese e sottoposte ad intervento vaginale. La via vaginale può provocare la comparsa di sintomi dolorosi legati alla formazione di aderenze. Talvolta può accadere che l’isterectomia iniziata per via vaginale debba essere interrotta e l’asportazione dell’utero debba continuare per via addominale: le cause sono la presenza di aderenze conseguenti a precedenti interventi chirurgici o a processi infiammatori o endometriosici.

Quali sono le alternative terapeutiche all’isterectomia?
Le alternative terapeutiche all’isterectomia proponibili alla donna sono diverse.
L’attesa è indicata alla presenza di fibromi asintomatici, di dimensioni contenute, quando l’età della donna si avvicina a quella della menopausa o quando i rischi anestesiologici sono alti. Si controllano ecograficamente le caratteristiche di sviluppo del fibroma con la speranza di evitare l’intervento.
La terapia medica è possibile, in alcuni casi selezionati, alla presenza di fibromi uterini utilizzando il progestinico o gli analoghi del Gn-Rh.
Queste terapie ormonali sono impiegate per brevi periodi e per ridurre la massa del fibroma e per bloccarne l’evoluzione fino alla menopausa.
Dopo la menopausa il calo ormonale non renderà più necessario l’intervento.
L’intervento conservativo proponibile è la miomectomia addominale o laparoscopica, che trova indicazione nelle donne giovani e desiderose di prole o affette da piccoli fibromi uterini.

Che cos’è l’isterectomia subtotale?
L’isterectomia subtotale consiste nell’asportazione del corpo dell’utero, mentre il collo non viene rimosso.
Si esegue tale intervento quando la donna sceglie di conservare il collo dell’utero o quando l’intervento presenta particolari difficoltà tecniche.

Che cos’è l’isterectomia radicale?
L’isterectomia radicale consiste nell’asportazione dell’utero, delle tube, talvolta delle ovaie, della parte superiore della vagina e delle ghiandole linfatiche pelviche.
La vagina viene suturata al fondo e accorciata.
Si esegue per trattare alcuni casi di cancro del collo dell’utero.
Dopo l’intervento può essere necessario un ciclo di radioterapia

LA MIOMECTOMIA

 

Che cos’è la miomectomia?
La miomectomia consiste nell’asportazione di miomi o fibromi presenti nell’utero, conservando l’utero e quindi la possibilità di una gravidanza.
E’ indicato, pertanto, nelle donne in età fertile desiderose di figli.

Quando è indicata la miomectomia tradizionale?
La miomectomia tradizionale, definita anche a addome aperto, perché prevede l’apertura della parete addominale, è indicata in presenza di numerosi e voluminosi miomi, ma in particolare di miomi intramurali, cioè annidati nel contesto della parete dell’utero.

Qual è la tecnica chirurgica della miomectomia tradizionale?
La miomectomia tradizionale prevede la laparotomia, cioè l’apertura della parete addominale.
La cute dell’addome si incide trasversalmente o longitudinalmente in base alle dimensioni del mioma da rimuovere.
Aperta la parete addominale si identificano i miomi e si procede alla loro asportazione, cercando di non aprire la cavità uterina, per evitare il rischio di aderenze.
Importante è la fase di ricostruzione, che deve ripristinare il potenziale anatomico ma anche funzionale dell’utero. Quindi si procede alla chiusura della parete addominale.
L’intervento è effettuato in anestesia generale e la sua durata dipende dal numero e dalle dimensioni dei miomi che occorre asportare, ma di solito è di 1-2 ore.

Quali sono le procedure perioperatorie?
Prima dell’intervento si introduce un catetere attraverso l’uretra nella vescica, per il deflusso dell’urina, che sarà rimosso 24 ore dopo l’intervento.
In alcuni casi si può inserire un drenaggio di plastica nella ferita, per rimuovere ogni minima raccolta di sangue.
Sarà rimosso dopo 24-48 ore.
Dopo l’intervento alcune pazienti possono manifestare un rialzo della temperatura corporea, altre, invece, avvertiranno un certo disagio: disturbi alleviabili con l’uso di antipiretici e antidolorifici. L’eventuale sanguinamento vaginale è lieve.
La dimissione avviene in genere in 5-6° giornata, in occasione della rimozione dei punti di sutura cutanei.
Le normali attività sociali e lavorative si possono riprendere dopo 4 settimane, anche i rapporti sessuali non dovrebbero presentare problemi.

Quali sono i possibili rischi della miomectomia tradizionale?
L’insuccesso dell’intervento si verifica quando i miomi uterini non sono rimossi completamente, per cui rimane la possibilità di una recidiva (10-30% dei casi).
Tuttavia i tempi relativamente lunghi di evoluzione della malattia consentono di portare a termine una gravidanza, raramente è necessario un ulteriore intervento.
I rischi di emorragie o di infezioni sono poco frequenti.
Le lesioni traumatiche della vescica o dell’uretra sono possibili, ma rare.
Possibili, invece, la comparsa di dolori pelvici dovuti alla formazione di aderenze.
I rischi anestesiologici dipendono dalle condizioni di salute della donna.

Quali sono le alternative terapeutiche alla miomectomia tradizionale?
Le alternative terapeutiche alla miomectomia tradizionale proponibili alla donna sono diverse.

L’attesa è indicata nei casi di miomi uterini di piccole dimensioni, a lenta evoluzione e asintomatici, che non interferiscono con una gravidanza. In questi casi vanno eseguite solo delle periodiche ecografie, ogni 6-12 mesi, di controllo. L’attesa è indicata anche nelle donne prossime alla menopausa. Infatti, dopo la menopausa venendo meno la stimolazione ormonale (estrogeni), i miomi tendono a ridurre le proprie dimensioni e a scomparire, evitando in tal modo un intervento chirurgico.
La terapia medica permette di controllare l’evoluzione e talvolta la sintomatologia dei miomi uterini. I farmaci impiegati sono i progestinici e gli analoghi del Gn-Rh. Tali trattamenti ormonali sono eseguiti per brevi periodi con l’obiettivo di ridurre le dimensioni dei miomi, rendendo meno traumatico il successivo intervento. In donne vicine alla menopausa, invece, questi trattamenti bloccando momentaneamente l’evoluzione dei miomi, permettono di evitare l’intervento. Questo perchè la comparsa della menopausa comporterà un’ulteriore riduzione dell’evoluzione della malattia
La miomectomia isteroscopia più che un’alternativa è diventata la regola per l’asportazione di miomi uterini sottomucosi, cioè che sporgono nella cavità uterina.
La miomectomia laparoscopica, invece, è indicata per l’asportazione di miomi uterini sottosierosi, cioè quelli che crescono sulla superficie esterna dell’utero.
Entrambi questi interventi endoscopici sono eseguiti in anestesia, comportano una degenza ospedaliera breve (1-2 giorni) e presentano dei minori rischi di emorragia, infezione e formazione di aderenze.
Un’altra interessante alternativa è rappresentata dall’intervento di embolizzazione, che consiste nel bloccare l’irrorazione del mioma stesso, provocandone la “morte”.
L’isterectomia, cioè l’asportazione dell’utero, non è una vera e propria alternativa, ma diventa un’indicazione nelle donne oltre i 40 anni con numerosi e voluminosi miomi uterini, con presenza di adenomiosi generalizzata, con grave sintomatologia emorragica o dolorosa, che non trovano soluzione con le precedenti tecniche descritte.

Contattaci per ricevere ulteriori informazioni

Vi risponderemo il prima possibile

RICHIESTA INFORMAZIONI